Rassegna stampa

Amministrazione, cantiere aperto

Gianni Trovati

La Pubblica amministrazione che si dà appuntamento al Forum per la prossima settimana (dal 12 al 15 maggio alla nuova Fiera di Roma) sembra per molti versi un libro bianco, almeno al capitolo dell’innovazione e dell’efficienza. Con un Governo freschissimo di insediamento, una legislatura che promette di durare cinque anni e di attuare la riscrittura delle istituzioni e del Fisco in senso federale, e con una concentrazione di attese che non ha facile riscontro negli ultimi anni.

Ma a guardare con attenzione le pagine del libro, qualche traccia d’inchiostro si incontra, e può essere utilmente raccolta e sviluppata. Nel senso che la fine repentina della legislatura ha chiuso di netto molte strade che cominciavano ad aprirsi. E che possono essere ancora seguite, anche per non cedere alla costante retorica del «nuovo inizio».

Il pubblico impiego è stato e continua a essere la croce di chi spera nell’innovazione degli uffici pubblici. Ma anche lì qualcosa è stato seminato, e parole come «produttività» e «valutazione» sembrano acquistare qualche forza. A partire dal Protocollo sul pubblico impiego firmato lo scorso novembre, che finalmente chiede di legare la retribuzione integrativa a parametri di produttività e di miglioramento dell’efficienza, è stato accolto, anche se con qualche tentennamento, nel nuovo contratto del personale degli enti locali, firmato il 12 aprile scorso, e ha trovato spazio anche nell’atto di indirizzo della Funzione pubblica per il rinnovo contrattuale dei segretari comunali e provinciali. In entrambi i versanti, la previsione si accompagna all’idea di rivisitare a fondo i meccanismi di valutazione della «produttività individuale e dei servizi», attraverso sistemi di misurazione delle performance concrete che abbandonano l’impostazione formale in voga fino a oggi. Tutta la partita dei rinnovi contrattuali, che comprende anche le agenzie fiscali e la sanità, si è concentrata sulla riscrittura dei codici disciplinari, accogliendo istanze che erano ormai indifferibili per una Pa moderna. Il Ddl Nicolais, invece, si è perso in Parlamento ma alcune delle sue idee, a partire dalle sanzioni per gli uffici troppo lenti, possono essere riconsiderate.

Così come non può essere abbandonato il tema dei «costi standard» dei servizi al centro di molte iniziative nate al ministero degli Affari regionali. Anche in questo caso, le riforme più organiche, come la Carta delle Autonomie che prometteva più competenze agli enti più «virtuosi», sono state abbattute dai tempi troppo brevi della legislatura (o da quelli troppo lunghi della politica), ma qualcosa sul campo è rimasto. Come l’Unità per il monitoraggio degli enti locali, partita ufficialmente il 3 marzo, che tra i suoi compiti ha proprio quello di definire i costi standard dei servizi in base ai quali individuare incentivi per i migliori e sanzioni per i peggiori. Sprecare questa occasione sarebbe un peccato, soprattutto per una Pa che sembra avviarsi davvero sulla strada del federalismo.

Proprio la riforma federale, dell’amministrazione e del Fisco, promette di essere un tema dominante dei prossimi mesi. Il «mancato federalismo», con il suo corollario di deresponsabilizzazione e inefficienza, costa tra i 14 e i 27 miliardi di euro all’anno a seconda delle stime. La cifra è incerta, la dimensione evidente. Ma se il federalismo è sinonimo di «responsabilità diffusa», anche la riforma dei bilanci pubblici, cioè degli strumenti che dovrebbero permettere al cittadino di valutare gli amministratori, non è più un tema rinviabile. La Finanziaria 2007, al comma 61, apriva la strada all’introduzione diffusa della contabilità economica, invece della vecchia contabilità finanziaria che non permette di capire se un’amministrazione arricchisce o impoverisce la propria comunità. L’argomento può sembrare arido, ma è uno snodo vitale della democrazia.

DOSSIER A CURA DI
Gianni Trovati


Le tappe
p È l’anno della legge 241 sulla trasparenza amministrativa e del nuovo Testo unico sugli enti locali (legge 124).

p I dipendenti pubblici erano 3.574.800, di cui 2.069.600 nello Stato (il massimo si è raggiunto nel 2003 con 3.618.500 dipendenti di cui 2.048.400 nello Stato).

p La pressione fiscale delle amministrazioni pubbliche sul Pil era del 38,3% al di sotto della media europea che era del 39%.

p La retribuzione lorda media annua era di 17.523 euro (2005=30.595 euro).

p Il Governo era composto da 31 ministri di cui 22 con portafoglio assistiti da 65 sottosegretari: 96 in tutto (minimo nel primo Governo Prodi nel ’96 con 68 in tutto; massimo nel secondo Governo Prodi del 2006 con 101 membri del Governo)
p Con il decreto Amato-Sacconi (n.29) si avvia la riforma del Pubblico impiego.

p Il personale pubblico era sceso a 3.577.500 unità di cui 2.078.00 nello Stato.

p La Pubblica amministrazione aveva un indebitamento netto cresciuto a 83.330 milioni di euro, ma un saldo primario positivo di 21.710 milioni.

p La retribuzione lorda media annua era di 18.816 euro (2005=30.595 euro).

p Il 24% dei dipendenti dei ministeri era sotto i 35 anni e l’8% sopra i 60.

p La composizione del Governo Amato era calata grazie alla riduzione dei sottosegretari passati a 37 e di alcuni interim che portavano i ministri a 25 e anche il contenzioso costituzionale era in linea con quello del ’90.
p Comincia l’era delle riforme Bassanini, dalla semplificazione al federalismo amministrativo passando per il riordino del lavoro pubblico.

p I dipendenti erano 3.658.300, di cui 1.946.0600 nello Stato.

p La politica dei risparmi e del blocco del turn over si fa sentire: nei ministeri i dipendenti sotto i 35 anni sono solo il 17%. L’età media comincia a salire.

p Si effettuano i primi sondaggi sulla soddisfazione dei cittadini. Secondo EurisKo (la ricerca era stata presentata al Forum Pa), il 54% degli intervistati si considera molto o abbastanza soddisfatto.

p Nelle classifiche internazionali sull’efficienza dell’azione di Governo, l’Italia e al 24o posto su 60 Paesi considerati e al penultimo posto tra i Paesi della Ue a 15 (ultima è la Grecia)
p Con la legge 145/2002 si avvia la riforma della dirigenza statale, anche per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.

p Il personale pubblico scende a 3.594.700 unità, ma risale la componente statale che arriva a 2.035.400 unità.

p Il blocco del turnover continua a far invecchiare i dipendenti pubblici. I dipendenti dei ministeri sotto i 35 anni sono i l 9%, mentre la fascia degli over 60 supera il 12%.

p Il 2002 è anche l’anno in cui si possono cominciare a tirare le somme della soddisfazione dei cittadini verso la Pa dopo una lunga stagione di rivolgimenti. Il risultato è però abbastanza sorprendente: i cittadini in linea di massima non se ne sono accorti (Ispo)

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