
Alla fiera dell’Est i «segreti» del Leone finiscono in piazza
Le continue polemiche su Generali un effetto già l’hanno avuto: quello di costringere la compagnia a lavare i panni a cielo aperto. Son passati più di dieci anni da quando il presidente Alfonso Desiata, alla presentazione dell’operazione Ina, ridacchiava per l’imbarazzo di dover raccontare gli “affari suoi” in pubblico. Stavolta c’è stato l’intervento delle autorità: si trattava di evitare il fiorire di sospetti e illazioni sullo shopping del Leone all’Est, che certo non hanno aiutato il titolo in Borsa, negli ultimi dodici mesi rimasto indietro di quasi 20 punti percentuali all’indice assicurativo europeo. Dato che ormai le carte sono scoperte, vediamole.
Partiamo dall’ultima rivelazione: l’intesa con il finanziere ceco Petr Kellner che la Consob ha chiesto di spiegare. Bisogna tornare al 2007 per capire di cosa si tratta. Kellner decide di cedere le sue attività assicurative e trova due gruppi europei disposti a pagare cash. L’accordo però alla fine lo fa con Generali tramite un meccanismo che consente a Trieste di diluire nel tempo l’esborso e che sta bene anche a lui nella prospettiva di rinunciare all’uovo oggi per avere la gallina domani. In sostanza, si crea una joint venture da 5,1 miliardi, a gestione e controllo italiano, nella quale confluiscono le attività assicurative del gruppo Ppf di Kellner e quelle delle Generali nell’Est europeo. Stesso perito, stessi criteri, il contributo di Kellner viene valutato circa 3,6 miliardi, le compagnie di Trieste 1,5 miliardi. Per compensare la differenza e raggiungere il 51% della joint, Generali paga 1,1 miliardi al partner, concedendogli una put a breve scadenza che riconosce al suo 49% il valore iniziale, cioè 2,5 miliardi, più l’eventuale rivalutazione in dipendenza dell’andamento del business.
L’accordo descritto nell’informativa sollecitata in questi giorni dalla Consob non è però quello originario, bensì quello rivisitato dopo la crisi del 2008 che suggerisce al management di Trieste di allungare i tempi. Nel 2009 si sposta dunque la verifica al luglio del 2014, si cancella la clausola di earn-out, non si parla di premio di maggioranza, ma si mantiene invariato il valore della put a 2,5 miliardi. Per compensare il mancato incasso, Kellner ottiene da un pool di banche guidato da Crédit Agricole una linea di credito fino allo stesso ammontare della put, offrendo in garanzia la propria quota. Tra tre anni, se Kellner deciderà di non proseguire nella joint, avrà di fronte un paio di alternative per le quali occorrerà comunque l’assenso di Generali. Kellner potrà infatti cedere la propria quota sul mercato nell’ambito di una Ipo a patto che Generali metta di suo almeno un altro 26% per arrivare al 75% di flottante, perdendo però così il controllo. Oppure potrà cedere la propria partecipazione a un terzo o a Generali, a discrezione di quest’ultima, a un prezzo pari ad almeno 2,5 miliardi oppure al più elevato valore di mercato, scambiando con la controparte gli interessi pagati fino ad allora sul debito con i dividendi nel frattempo percepiti. C’è un solo caso nel quale, di fatto, il Leone sarebbe costretto a rilevare la partecipazione del partner ceco: e cioè se la quota dovesse valere meno di 2,5 miliardi e Kellner scegliesse perciò di cederla a Generali, che a quel punto non troverebbe un compratore alternativo disposto a riconoscere i 2,5 miliardi pattuiti. Se invece, per ipotesi, Kellner dovresse finire in default la banca escuterebbe il pegno sul suo 49%, ma Generali non ne risponderebbe.
Generali avrebbe dunque dovuto registrare una posta in bilancio a fronte degli accordi con Kellner? In realtà no, perchè l’accatonamento andrebbe fatto solo a fronte dell’emergere di uno scostamento tra il fair value della quota e il floor di 2,5 miliardi della put. La periodica verifica semestrale finora non ha segnalato l’esigenza di un adeguamento. Anzi, le indicazioni operative vanno in direzione opposta. Il contributo dei mercati dell’Est al risultato operativo di gruppo è aumentato dall’1,8% del 2007 al 9,3% del 2010: pur con un calo a 419 milioni rispetto ai 639 del 2009, per eventi naturali che hanno portato il combined ratio (rapporto tra premi e sinistri nel ramo danni) a salire di 6-7 punti al 93,2%, comunque sotto il 98,8% di gruppo. L’incidenza dei premi dell’area, ancora poco penetrata dal punto di vista assicurativo, è invece più che raddoppiata sul totale del gruppo, passando dal 2,4% al 5,5% (4 miliardi).
Grazie all’operazione, Generali è diventata il numero uno nella Repubblica ceca (dal quinto posto che occupava in precedenza), il terzo operatore in Slovacchia (dalla settima posizione), l’ottavo in Polonia (era 13°). Ha inoltre consolidato la seconda posizione in Ungheria e si è affacciata al mercato russo, pur con un’attività “captive”, a supporto cioè del business nel credito al consumo di Kellner. Per il Leone, insomma, l’Europa dell’Est, con la presenza che si è allargata a 14 Paesi, è diventata la quarta aerea più importante, dopo Italia, Francia e Germania.
E allora dov’è il problema? Si è capito che, nell’avanzata a Est, Generali si è mossa in questo modo perchè era l’unico per limitare l’impiego di capitali, dato che, rispetto ai concorrenti, non ha mai battuto cassa con i soci. Ora, secondo alcuni analisti (ma anche secondo alcuni consiglieri), l’aver reso pubblici gli accordi per Generali è stato come se Coca-Cola avesse rivelato la sua formula. Il paragone è esagerato, ma, a dispetto nostro, non è prassi nel mercato assicurativo alzare troppo il velo sui “segreti commerciali”.
Veniamo all’altro tema oggetto di recenti polemiche: l’acquisto dello 0,9% della banca russa Vtb nell’ambito del collocamento di una quota governativa del 10%, concluso a febbraio. Il pacchetto, che vale lo 0,046% degli investimenti complessivi del gruppo Generali, è stato pagato circa 220 milioni di euro, a 1,8 volte il rapporto prezzo/patrimonio netto che rappresenta uno sconto rispetto al multiplo di 2,4 del principale concorrente Sberbank. Il “cip” serviva a conquistare le credenziali per porsi come partner strategico della seconda banca russa, 35 miliardi di dollari di capitalizzazione, 8 milioni di clienti e una rete di 900 sportelli in patria che raddoppia con l’acquisizione del controllo di Bank of Moscow. Ora che le contestazioni sull’operazione sono uscite dalle stanze ovattate del consiglio Generali, siamo sicuri che i russi saranno ancora contenti di mettere a disposizione il loro network per distribuire le polizze del Leone?
PRAGA
L’espansione
L’Europa orientale diventa la quarta area del gruppo
MOSCA
L’occasione
L’opportunità di entrare nel vasto mercato russo