Rassegna stampa

Adriano, lo spartiacque

di Alessandro Schiesaro

«Classico» – lo ha spiegato Ernst Robert Curtius in un capitolo eccelso della sua Letteratura latina e medioevo europeo – è termine che segnala un primato di qualità e si candida a un futuro memorabile. «Classico» – lo diceva già Eliot con il lucido rigore del poeta – non è semplice sinonimo di antico, ma promessa, meglio, garanzia di perdurante eminenza oltre le mutevoli vicende del presente e le probabili mutilazioni prodotte dal tempo. Lane Fox guarda a quasi dieci secoli di storia con gli occhi ammirati e sapienti dell’imperatore Adriano, i cui viaggi agli estremi dell’impero sono insieme un grand tour sentimentale e un’ossessiva ricerca delle radici: a Delfi chiede all’oracolo dove nacque Omero, chi ne fossero i genitori; a Sparta elogia il ruvido valore dei suoi abitanti antichi; nel nord dell’Inghilterra, ai confini del suo mondo, ricalca i gesti di Alessandro offrendo anch’egli sacrifici in onore dell’Oceano Esterno.

Il termine "classico" nasce appunto, siamo alla metà del I secolo d.C., quando sembra concludersi la stagione più intensa della letteratura latina, e il recupero dei grandi esempi del passato diviene una strategia meditata, riflessa, anche nel linguaggio e nello stile. Adriano regna a Roma ma si atteggia e parla da greco, emblema vivente di una fusione culturale ormai compiuta; e a Tivoli fa rivivere le statue e i palazzi che avevano reso "classica" la cultura dei greci: gli piace aggirarsi tra l’Accademia e il Liceo, il Pritaneo e la Valle di Tempe. È naturale, quindi, che proprio con Omero si apra la storia raccontata da Lane Fox, non con i primordi micenei o il dialogo fitto ma per noi frammentario tra "Grecia" e civiltà orientali nel melting pot del Mediterraneo: questa storia è già in partenza epica per vigore e importanza, oltre che per l’interesse dell’autore nelle tecniche del combattimento antico. Per Adriano, destinatario ideale di questo libro, certi momenti e certi temi avrebbero avuto, sostiene, più importanza di altri, e così per lui e per noi: l’Atene del V secolo e la Roma di Augusto più che lo smisurato impero ellenistico dei successori di Alessandro o le vicende della Roma antichissima o ancora gli anni tesi in cui si completa, distrutta Cartagine, la trasformazione della città-Stato in capitale del mondo.

Privilegiando una scansione narrativa e cronologica, focalizzata soprattutto sui grandi centri piuttosto che sui margini degli imperi, Lane Fox produce un racconto che naturalmente avvince e stimola, sorretto com’è da un formidabile ma non appariscente impianto scientifico di cui si scorge ampia traccia nelle note e nella bibliografia (quest’ultima rivista per il lettore italiano, ma a parziale scapito del più ricco originale inglese). È una storia fatta di «mutevoli relazioni di potere», di «cambiamenti tumultuosi», di grandi personalità – Pericle, Alessandro, Cesare, Augusto – che imprimono svolte decisive agli eventi in forza di un’abilità superiore. Una storia che vede crescere in parallelo Grecia e Roma, ma che per il suo impianto non può diventare greco-romana, almeno non fino a quando Adriano, incarnandone la fusione, ne sancisce in un certo senso anche la fine: un limite cronologico e ideologico insieme che tradizionalmente demarca i confini del curriculum appunto "classico" nella Oxford in cui Lane Fox insegna e delle cui propensioni storiografiche e stilistiche questo libro è testimonianza eloquente: non è certo un caso se neppure il grande dizionario di latino messo a punto in quell’università preferisce non avventurarsi oltre le colonne d’Ercole del II secolo. Ad altri – non a chi scrive per e con Adriano – spetterà indagare i successivi tre secoli di cultura greco-romana-cristiana, più centrifuga e instabile, meno ricca di campioni d’eccezione, certo meno epica e forse non ancora tragica, ma avviata a un "declino" che solo più tardi si è imparato a riconoscere come metamorfosi.

Al classico di Lane Fox si oppone il "globale" di Veyne, la cui non meno ponderosa storia dell’impero greco-romano, apparendo quasi in contemporanea in traduzione italiana, presenta un utile caso di studio per confrontare tendenze e metodi di due tradizioni storiografiche, quella inglese e quella francese, tra le quali le divergenze (lo si vede già dai titoli) continuano a fare aggio sui punti d’incontro. Veyne vuole offrire l’immagine di un mondo unitario nella cultura e a lungo unito nella gestione, un "impero", appunto, oggi che di imperi nuovi e vecchi si torna a parlare senza reticenze, quando non con orgoglio (si veda da ultimo il saggio appassionato di Niall Ferguson, recensito sul Domenicale del 15 dicembre). Se "impero" è un prevedibile ammiccamento alle inquietudini del presente, "globale" è anche parola-programma cara alle Annales parigine, al loro progetto di una storia che trascenda la tirannia di singoli fatti e protagonisti; parola recuperata oggi, altrove, in chiave interculturale: esce da poco a Cambridge un «Journal of Global History», e a New York sta sorgendo un grande centro per lo studio del mondo antico che intende abbracciare insieme al mondo mediterraneo tutte le altre culture dell’antichità. Nel libro di Veyne si troveranno meno battaglie e più civilisation, ma entrambi gli autori aspirano a un’interpretazione unitaria e compatta di una vicenda storica che viene riproposta anche come antidoto di fronte ai mutamenti di prospettiva, radicali se non traumatici, che ci vengono imposti dalla realtà.

1 Robin Lane Fox, «Il mondo classico. Storia epica di Grecia e di Roma», Einaudi, Torino, pagg. XVI-708, € 32.00.

1 Paul Veyne, «L’impero Greco-romano. Le radici del mondo globale», Rizzoli, Milano, pagg. 778, €32.00.

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