
L’AGRICOLTURA VENETA VALE 5,34 MILIARDI MA FA I CONTI COL METEO
L’agricoltura veneta vale 5,34 miliardi di euro e, sebbene debba fare i conti con uno scenario complessivo non esattamente facile per l’economia globale, il valore alla produzione nel 2012 migliora dell’1,5 per cento (fonte: Veneto Agricoltura) e il deficit della bilancia commerciale migliora di 32 punti percentuali (anche se il saldo negativo passa da 1,1 miliardi a 750 milioni di euro). Diminuisce il numero delle imprese agricole iscritte alla Camera di commercio (-1,9 per cento rispetto all’anno precedente), che scendono a 72.403 unità, ma il dato occupazionale è positivo: 75mila addetti, con un balzo del 7,5 per cento in avanti sul 2011.
Sono questi i dati che fanno da corona all’intervista di Fieragricola all’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Franco Manzato.
La più autorevole manifestazione internazionale dedicata all’agricoltura, in programma a Veronafiere dal 6 al 9 febbraio 2014, pone l’accento sul comparto, ascoltando le amministrazioni regionali, che rappresentano uno snodo importante nella gestione delle risorse per le imprese agricole.
Assessore Manzato, qual è il suo commento, alla luce dei dati presentati da Veneto Agricoltura?
«Il fatto è che purtroppo anche quest’anno, il settore agricolo veneto dovrà fare i conti con la crisi economica in atto e il conseguente calo dei consumi. E’ nostro dovere però continuare a sostenere le imprese agricole per renderle sempre più competitive in un mercato in costante evoluzione».
La Regione Veneto può intervenire attraverso lo strumento dei Piani di sviluppo rurale. Quali saranno le linee guida per il 2014-2020?
«Ci stiamo lavorando in questo momento. Posso anticipare che la Regione Veneto punterà proprio su aspetti quali l’innovazione delle imprese agricole, l’inserimento dei giovani, la sburocratizzazione, la flessibilità».
Sulla Riforma della Pac il suo “collega” lombardo, Gianni Fava, ha proposto che il negoziato venga gestito direttamente dalle Regioni e non dal ministero delle Politiche agricole. Condivide?
«Condivido, perché è una strategia di interesse macroregionale; non è questione politica ma di interesse territoriale. È evidente che le produzioni del Nord Italia sono diverse da quelle del Sud o dal Centro Europa. Se prendiamo l’esempio del latte piuttosto che degli agrumi, non parliamo di Nord/Sud, ma di macro-regione del Nord e macro-regione del Sud. Entrambe devono poter dialogare a livello comunitario, con autonomia e precisione».
Al ministero che ruolo lascerebbe?
«Il ministero delle Politiche agricole ha ancora una interlocuzione diretta con la Ue e d è giusto che l’abbia finché la legge lo prevede. Ma non possiamo dimenticare che già ora il 90 per cento della gestione dell’agricoltura spetta, tramite i Piani di sviluppo rurale, alle Regioni, istituzioni competenti anche in caso di variazione degli indirizzi e delle misure».
Veniamo al maltempo. La Regione Veneto ha inoltrato la domanda per lo stato di calamità?
«Sì, abbiamo fatto istanza al ministero per il riconoscimento dello stato di calamità. Questo significa che ci attendiamo che lo Stato non scarichi la responsabilità, consentendo alla Regione Veneto di poter aumentare le accise sui carburanti. Un provvedimento del genere avremmo potuto applicarlo noi direttamente, invece chiediamo, proprio per la straordinarietà degli eventi, che ci sia la mano dello Stato. E lo dico perché, a mio avviso, non abbiamo avuto alcun aiuto dal governo attuale, ma anche dal precedente e da quello prima ancora, guidato da Berlusconi, per essere chiari.
Quali richieste ha avanzato il Veneto?
«Sono due sono gli elementi sui quali anch’io ho fatto richiesta di aumento di spesa e cioè il Fondo di solidarietà nazionale, per il quale ho chiesto un miliardo di euro per tutte le Regioni italiane, e il Piano irriguo nazionale, che consente di progettare quelle strutture che portano l’acqua nei campi».
Quali pericoli vede?
«Il rischio oggi è che lo Stato scarichi sui Psr regionali tutti i costi del piano irriguo nazionale, i costi delle assicurazioni, i costi relativi ai controlli funzionali nel comparto zootecnico. Per noi è impossibile, perché i fondi del Piano di sviluppo rurale devono essere dedicati alla competitività delle imprese agricole e non per sostenere misure collaterali all’innovazione e alla modernizzazione delle aziende».
Il Veneto è il cuore della zootecnia, soprattutto per i bovini da carne pesante. Eppure il settore è in difficoltà. Cosa può fare la Regione?
«Gli interventi sono molteplici e riguardano il comparto agricolo e zootecnico nel suo complesso. Penso ad esempio alla necessità di alleggerire il carico burocratico, alla standardizzazione dei prezzi nell’interprofessione, alla direttiva nitrati, che è applicata nel Nord Italia come non viene applicata in nessuna parte d’Europa. Penso inoltre ai controlli che vengono effettuati 3-4 volte sulla stessa azienda da organismi diversi, che però non dialogano fra loro. Il sistema allevatoriale sconta anche ingenti difficoltà di accesso al credito. Il 40 per cento della carne italiana è allevata in Veneto, per questo come Regione stiamo lavorando al Psr 2014-2020 per una ipotesi di sottomisure dedicato al comparto. Stiamo ragionando anche sulla linea vacca-vitello, ma non è semplice perché ci scontriamo con un sistema di competizione internazionale e l’amministrazione pubblica non può entrare direttamente sul mercato».
Sempre in ambito di zootecnia da carne, la Turchia è un importante hub per il Medio Oriente, eppure l’Italia ha difficoltà di esportazione, legate alla burocrazia. Cosa può fare la Regione Veneto?
«Purtroppo la Regione può fare veramente poco, se non ripetere al governo che di burocrazia si muore: oggi il 5% del fatturato di un’azienda agricola se ne va in burocrazia».
Di recente la giunta regionale veneta ha stanziato 4,2 milioni di euro per sostenere i fascicoli aziendali. Non crede però che parte della burocrazia vada ridimensionata proprio a partire dai fascicoli aziendali?
«Il fascicolo aziendale sta diventando sempre più telematico e di diretta competenza dell’imprenditore agricolo. Teniamo presente che il trend è quello di una contrazione delle imprese agricole, ma non delle produzioni. Significa che è in atto un fenomeno di concentrazione e di crescita delle dimensioni aziendali medie. Ciò vuol dire che il numero dei fascicoli aziendali è in diminuzione, ma non possiamo, come Regione, spingere troppo per mettere in difficoltà le aziende più piccole. È un percorso che sta già avvenendo, non dobbiamo forzare, semmai accompagnare il tessuto imprenditoriale a riacquistare competitività».
Recentemente la Coldiretti di Verona ha sollecitato la Regione a dare il via al nuovo bacino di laminazione di Montebello Vicentino. Qual è lo stato dell’arte e che tempistiche può assicurare?
«Il comparto non è d competenza diretta dell’assessorato all’Agricoltura. Parliamo comunque di un intervento generale di 6-700 milioni di euro su tutto il versante veneto. I tempi non li posso dare perché non vorrei scivolare nell’errore di dare tempi precisi, ma posso assicurare che l’intervento di tutela ambientale è una priorità oggi in Veneto».
Da assessore all’Agricoltura del Veneto c’è qualcosa che non ha fatto, ma che avrebbe voluto compiere?
«Innanzitutto premetto che in quattro/cinque anni abbiamo fatto molto e rivoluzionato tutto. Quello che mi piacerebbe fare e che non è possibile per una questione finanziaria è avere a disposizione decine di milioni di euro, per valorizzare adeguatamente tutte le produzioni venete. È questo il grande problema: abbiamo produzioni eccellenti e non abbiamo le risorse per penetrare sul mercato veneto e su quello internazionale. Bisognerebbe fare leva sulla grande distribuzione per promuovere il Made in Italy in Italia e soprattutto all’estero».