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FIERE (AEFI): RISTORI FONDAMENTALI, ORA VIA IMU E RIMODULARE PNRR TURISMO DANESE (PRESIDENTE AEFI): FIERE GENERANO 60 EURO DI BUSINESS 23 DI INDOTTO PER OGNI EURO INVESTITO DALLE IMPRESE

“L’obiettivo del sistema fieristico italiano, ma anche del made in Italy, è tornare entro il prossimo biennio ai numeri realizzati prima del Covid, quando per ogni euro investito dalle imprese se ne generavano 60 di business e 23 di indotto. Un effetto moltiplicatore riconosciuto dal Governo e dal Parlamento, con cui abbiamo stretto un rapporto di vera alleanza durante l’emergenza. Non è un caso se oggi, grazie ai ristori e al superamento del regime ‘de minimis’, il segno meno dell’ebitda è stato in gran parte colmato, anche se in relazione alle perdite totali mancano all’appello ancora 100 milioni di euro”. Lo ha detto, oggi a Veronafiere in apertura dell’assemblea generale di Aefi – Associazione esposizioni e fiere italiane –, il presidente Maurizio Danese.

“Ora – ha aggiunto Danese rivolto al ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, presente in assemblea – sarà importante assecondare gli sforzi di ripresa, perché è bene ricordare che i ristori sono stati un fondamentale strumento di difesa ma non di crescita. Due sono le priorità per il rilancio che si aggiungono ai ristori: la prima riguarda la rimodulazione dei fondi Pnrr destinati al turismo con un capitolo di spesa esclusivo in favore del rinnovamento in chiave green delle fiere italiane; la seconda riguarda la revisione, non più procrastinabile, della classificazione catastale dei quartieri fieristici ai fini Imu. Chiediamo in sintesi – ha concluso Danese – che i padiglioni fieristici possano considerarsi unità immobiliari che assolvono ad una chiara funzione di interesse generale ed essere perciò esclusi dalla tassazione”.

Nel 2019, ultimo anno statisticamente utile per rilevare nella sua interezza la portata dello strumento fieristico in favore del made in Italy, il sistema generava business per 60 miliardi di euro l’anno, a fronte di un fatturato del settore per 1 miliardo di euro. Secondo l’associazione, che rappresenta il 96% delle manifestazioni internazionali che si svolgono in Italia, nei 4 anni precedenti l’emergenza, la seconda industry d’Europa – e quarta al mondo – aveva compiuto passi decisivi, in particolare in favore dell’internazionalizzazione. L’aumento delle manifestazioni b2b e gli investimenti dei proprietari dei quartieri, che negli anni sono diventati anche organizzatori diretti, hanno incrementato numericamente e qualitativamente la portata globale degli eventi, superando quota 200. In particolare, dal 2016 al 2018 il numero di manifestazioni internazionali è cresciuto dell’11%. Di pari passo il trend sul numero degli espositori, aumentati nel periodo considerato del 49%, in rappresentanza dei settori campioni dell’export tricolore. A partire dal settore food, bevande e ospitalità, dal tessile/abbigliamento/moda allo sport/hobby/intrattenimento e arte; dall’industria/ tecnologia/meccanica all’agricoltura/silvicoltura/zootecnia. Un doppio filo, quello tra l’export e le fiere, che si evince nella geografia dei quartieri sede di grandi eventi internazionali, in grado di attirare circa 10 milioni di operatori l’anno di cui 1,6 milioni stranieri, dato – quest’ultimo – in crescita del 44%.

Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – che da sole costituiscono quasi i 2/3 delle fiere internazionali italiane – sono infatti anche le prime 3 regioni per export del Belpaese.

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