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A FIERAGRICOLA L’APPELLO PER LA DIFESA DELLA PAC DOPO LA BREXIT. IL VICEMINISTRO OLIVERO: L’UE CONSIDERI L’AGRICOLTURA ELEMENTO CENTRALE

Verona, 31 gennaio 2018 – «Dobbiamo difendere la Politica agricola comune in queste dimensioni. Dovremo

discutere su come ripartirla meglio, ma è fondamentale che l’Europa continui a considerare l’agricoltura come

elemento centrale». Lo ha detto questa mattina il viceministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero,

intervenendo al convegno «Futuro primario. Dalla Politica agricola comune all’agricoltura 4.0, le prossime

sfide dell’agricoltura italiana ed europea», che ha inaugurato la 113ª edizione di Fieragricola, rassegna

internazionale del settore primario, in programma a Veronafiere fino a sabato 3 febbraio.

E proprio da Fieragricola emergono le linee di quelle che dovranno essere le politiche e l’Europa del futuro,

se si vuole assicurare un futuro all’agricoltura italiana: difesa della Pac; tutela delle indicazioni geografiche;

etichettatura per informare il consumatore e assicurare maggiore valore aggiunto agli agricoltori; maggiore

forza nei trattati internazionali di libero scambio. In gioco c’è un nuovo modello di globalizzazione, ancora

tutto da plasmare. E Veronafiere accende i riflettori sul dibattito.

«Fin dalla sua nascita, nel 1898, Fieragricola ha indicato al mondo agricolo la strada dell’innovazione,

cercando di dare risposte ai bisogni della società – ha esordito Maurizio Danese, presidente di Veronafiere

–, perché quando parliamo di agricoltura non dobbiamo dimenticare che facciamo riferimento a un settore il

cui benessere riguarda tutti noi. Oggi la sfida riguarda l’agricoltura di precisione, la digitalizzazione, senza

abbassare la guardia su temi che nel mondo non sono così scontati, come la sicurezza e la salubrità delle

produzioni agricole e animali, la qualità, l’accesso al cibo e la redditività degli agricoltori, aspetto

imprescindibile se si vuole garantire un futuro al settore e agevolare un ricambio generazionale in Italia

ancora troppo lento».

Moderati dal giornalista Gerardo Greco, direttore di Radio 1 e Giornale Radio Rai, sono intervenuti: Paolo De

Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, Herbert Dorfmann,

europarlamentare componente della Commissione Agricoltura, e Fabrizio De Filippis, docente di economia

e politica agroalimentare dell’Università Roma 3, Roberto Moncalvo, vicepresidente di Copa (Comitato delle

organizzazioni professionali agricole dell’Unione europea) e presidente di Coldiretti. Sono intervenuti anche

Cinzia Pagni, vicepresidente vicario della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) e Giordano Emo

Capodilista, componente della giunta di Confagricoltura, con delega all’internazionalizzazione.

La difesa della Pac. Con 420 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il periodo di programmazione 2014-2020,

pari al 39% del bilancio comunitario (con un’assegnazione all’Italia di 52 miliardi di euro, di cui 41,5

dall’Unione europea e 10,5 dallo Stato), l’agricoltura rappresenta il cuore e il collante dell’Europa.

Una delle incognite per il settore riguarda l’ammontare delle risorse che saranno rese disponibili dall’Unione

europea per la fase post 2020, tenuto conto che in termini economici l’agricoltura ha visto ridurre il proprio

peso dagli anni Ottanta, quando costituiva oltre il 70% del bilancio comunitario.

La Brexit: incertezze e opportunità. «Con la Brexit – ha detto Paolo De Castro, vicepresidente della

Commissione Agricoltura del Parlamento europeo – verranno a mancare 12 miliardi di euro all’anno e non

vogliamo che questo vada a gravare sulle politiche agricole e sulle politiche di coesione». Anche perché la

competizione è più che mail globale. «Gli Stati membri conferiscono all’Ue lo 0,98% del proprio Pil – ha

precisato De Castro – ma mentre Bruxelles spende ogni anno 23 miliardi per l’agricoltura, gli Usa spendono

90 miliardi di dollari. Sono numeri molto diversi, tenuto conto che la superficie agricola disponibile non è poi

molto diversa».

L’uscita in corso della Gran Bretagna dall’Ue apre anche un altro scenario, secondo il vicepresidente della

Commissione agricoltura al Parlamento europeo: «Con la Brexit la maggioranza del blocco nordico è finita,

ora c’è la maggioranza del blocco mediterraneo».

Un’opportunità, dunque, da cogliere. Magari su un tema strategico come quello dell’etichettatura.

L’etichettatura. Roberto Moncalvo, vicepresidente del Copa e presidente di Coldiretti, non ha fatto sconti a

questa Europa. «Sull’etichettatura l’Ue sta cercando di andare in direzione opposta e la Pac, con le proprie

risorse, deve essere difesa – ha affermato –. Anzi, deve essere aumentata, essendo l’unica fonte di

finanziamento per gli agricoltori. Non dimentichiamo che la Pac vale meno dell’1% del bilancio nazionale, ma

traina un settore come l’agroalimentare italiano, che incide per il 17% del Pil. Su scala continentale, poi, la il

settore dà lavoro a 44 milioni di persone».

L’etichettatura, come ha rimarcato Herbert Dorfmann, europarlamentare componente della Commissione

Agricoltura, «è una questione di natura economica, ma anche culturale ed è la strada che l’Europa

mediterranea e l’Italia in particolare devono percorrere, per difendere i propri prodotti agroalimentari di

qualità, magari coinvolgendo l’industria alimentare e la ristorazione». Tanto che il viceministro Olivero ha

illustrato la posizione italiana sul tema delle certificazioni: «Noi vorremmo avere le indicazioni geografiche in

tutto il mondo, in una logica sana di collaborazione».

I trattati internazionali. Per Moncalvo la difesa delle produzioni dovrebbe essere globale, oltre i

riconoscimenti geografici. «Servono regole comuni, soprattutto nei trattati internazionali, perché non è

possibile una competizione fra il grano italiano e quello canadese che, se i canadesi non potessero usare il

glifosate, nemmeno esisterebbe – ha attaccato –. E così anche per il riso, dove i principali concorrenti del sud

Est asiatico utilizzano prodotti chimici da noi vietati da oltre 30 anni».

Anche a livello internazionale il nodo è legato alla qualità e alle regole. «Ci siamo lamentati sette mesi fa del

Ceta, l’accordo di libero scambio fra Ue e Canada – ha proseguito il vicepresidente del Copa – e oggi lo

ripetiamo su Mercosur (l’accordo di libero scambio con i paesi sudamericani) e Giappone: oggi l’agricoltura è

merce di scambio nei grandi trattati e i sistemi di controllo, le cosiddette clausole di salvaguardia, sono di

fatto inattivabili».

Necessario, secondo Giordano Emo Capodilista (Confagricoltura), «condividere in Italia e in Europa gli stessi

progetti a tutela dell’agroalimentare, approfondendo magari con studi di impatto le conseguenze dei trattati

internazionali».

La qualità dovrebbe essere sempre di più un paradigma basilare a livello comunitario, soprattutto a fronte di

un nuovo modello di globalizzazione. «Il vecchio modello di globalizzazione è tramontato – ha affermato

Fabrizio De Filippis, docente di Economia e politica agroalimentare dell’Università Roma 3 –. L’attuale

modello di globalizzazione ancora non l’abbiamo capito. È un modello multipolare e richiede alleanze e non

divisioni all’interno dell’Ue. L’Italia dovrà lavorare per far accettare la distintività come elemento identitario

riconosciuto e, quindi, tutelato».

Fronte comune contro la burocrazia. Nemica dell’agricoltura, senza ombra di dubbio, è la burocrazia. «Pesa

per 100 giornate lavorative», ha riconosciuto Cinzia Pagni, vicepresidente vicario della Cia. E anche il

greening, che con l’entrata in vigore del Regolamento Omnibus (1° gennaio 2018) è stato semplificato, per

Dorfmann «nel suo approccio iniziale era eccessivamente complicato».

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