
Per il Salone del gusto un marchio da 2,3 milioni
Se, come dice il detto, il nome è una garanzia, il brand, “Salone del Gusto” è, a tutti gli effetti, un valore. Che la società Icm Research, advisor specializzato nella valutazione e valorizzazione degli asset immateriali, attraverso un’analisi condotta per definire il valore del marchio e l’impatto generato dall’evento nato nel 1996, ha individuato in una cifra pari a 2,35 milioni di euro.
Una somma determinata da un mix di elementi, a partire, ad esempio, dalla reputazione di Slow Food e dalla potenzialità innovativa del progetto, oltre che dai risultati commerciali in senso stretto ottenuti dal Salone e dalle conseguenti ricadute territoriali. Facendo un passo indietro per fotografare l’evoluzione del fenomeno, nell’ottava e ultima edizione, che si è svolta lo scorso anno, i visitatori hanno toccato quota 200mila (+11,1% rispetto al 2008), mentre gli espositori sono stati 910 (+46,8%). Nel 2002, a metà del percorso compiuto finora dal Salone, i biglietti staccati erano stati 138mila, mentre gli espositori erano 500 circa. Numeri che, leggendo alla voce ricavi dell’ultima edizione, si trasformano in 8,7 milioni di introiti diretti, che per il 90% ricadono sul tessuto economico piemontese. A questi, secondo l’analisi, si devono aggiungere circa 25 milioni attribuiti al valore generato dall’esposizione sui media, per una ricaduta complessiva sul territorio stimata in oltre 30 milioni.
«Questo primo lavoro di indagine, realizzato grazie alla Camera di commercio di Torino, rivela, con i suoi risultati, il grande valore che il Salone del Gusto ha per il territorio – commenta Roberto Burdese, presidente di Slow Food – non solo nei cinque giorni di svolgimento della manifestazione, ma nel corso dei due anni che intercorrono tra un’edizione e l’altra». «Risultano, infatti, rilevanti le economie dirette generate, sia quelle materiali sia le immateriali – prosegue Burdese – ed è evidente anche quanto l’evento sia una pietra miliare del settore che abbraccia la produzione agroalimentare di qualità e il turismo enogastronomico».
A contribuire a determinare questo valore, sottolinea il rapporto stilato da Icm Research, anche l’aspetto “relazionale” che caratterizza il Salone. Non solo una vetrina per una serie di espositori selezionati tramite uno specifico protocollo di ammissibilità, ma anche per progetti e attività nella produzione e nella cultura enogastronomica, che sono sviluppate in modo continuativo tra un’edizione e l’altra, a cui si aggiungono una serie di “eventi nell’evento” dedicati al pubblico, dai Laboratori del gusto ai percorsi didattici sul cibo.
«La funzione dello studio – affermano gli organizzatori del Salone – oltre a far conoscere il potenziale della manifestazione sul territorio, sarà uno dei punti di partenza su cui si comincerà a ragionare già dalla prossima edizione, a ottobre 2012, con l’obiettivo di attuare azioni di crescita e sviluppo del marchio stesso e dei territori di riferimento».
Il Salone, marchio che oggi è proprietà per un terzo ciascuno di Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino, nel futuro prossimo potrebbe dunque, nella visione dell’advisor, puntare su una maggiore internazionalizzazione – dei 288 presidii Slow Food presenti nel 2010, 106 provenivano da altri Paesi – aumentando espositori e visitatori e conseguentemente i flussi turistici in Piemonte.
Il tutto da realizzare con una serie di strumenti, come lo sviluppo dell’e-commerce e del turismo esperienziale, l’offerta di nuovi servizi rivolti a produttori ed espositori, l’approfondimento dei temi che sono il cuore di “Terra Madre” (sostenibilità ambientale, difesa della biodiversità, sovranità alimentare) ma anche dell’impellente necessità di garantire un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della terra, tema dominante anche dell’Expo 2015 di Milano.
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200mila I visitatori. La manifestazione ha registrato l’anno scorso un incremento dell’11,1 per cento
910 Gli espositori. Sono aumentati nel 2010 del 46,8%; presenti in circa 500 due anni prima