
Terra e acqua, l’Asia è un business
La delegazione è appena tornata da Zhengzhou, il centro dell’Henan che ospita la più importante fiera cinese delle macchine agricole, e Francesco Carozza, vicepresidente di Unacoma (e imprenditore della Same di Treviglio), è soddisfatto. «Per la prima volta c’era una pattuglia di quindici nostre aziende in un Paese che ha un enorme bisogno di razionalizzare le tecniche di coltivazione della terra e che, quindi, si profila come un potenziale mercato per i nostri prodotti». Dallo Shandong, area a grande intensità di sfruttamento agricolo, gli fa eco Alessio Riulini, general manager della padovana Maschio Gaspardo: «La Cina ha una ridottissima percentuale di terra coltivabile rispetto alla popolazione, così noi abbiamo fatto di più: ci siamo trasferiti cinque anni fa nel Fuyuan National Park con le nostre macchine che svolgono tutta l’attività cruciale, quella preliminare alla semina che richiede l’uso di trattori».
Sono alcuni esempi di come la penuria di terra e acqua, non solo in Cina ma in tutta l’Asia, può diventare un vantaggio per aziende che hanno sviluppato la tecnologia adeguata a risolvere problemi di dimensione biblica ma estremamente localizzati. La diga in costruzione a Metog, in Tibet, più grande perfino di quella delle Tre Gole avrà pesanti conseguenze sul Brahmaputra, fiume sacro agli indiani. Morale: Cina e India dovranno trovare le tecnologie utili a ridurre i danni all’ambiente e alle persone che l’opera, inevitabilmente, innescherà.
Incalza Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia che al tema della mancanza di acqua e terra dedica l’ottavo convegno annuale (a Milano, Palazzo Turati, giovedì 10 novembre, dalle ore 16) organizzato con Promos e Radiocor-Il Sole 24 Ore: «Acqua e terra sono due variabili con enormi conseguenze sul nostro sistema delle imprese, penso al know how di società come Fisia, ma anche alle tecniche di gestione della catena del freddo per la conservazione dei prodotti alimentari in cui siamo maestri, a quelle di purificazione dell’acqua. Le risorse non sono inesauribili e non sono soltanto strumentali alla produzione. L’Asia, il nuovo centro manifatturiero del mondo, segnala problemi globali: aumento dei prezzi agricoli, inflazione alimentare, inquinamento delle acque e dei suoli. Le ripercussioni economiche sono immediate, i problemi impongono una risposta: dalla sicurezza alimentare e relativo controllo della filiera, ai bio-combustibili, alle energie alternative che comportino risparmio energetico». Con grande tempismo Bruno Fierro, manager della milanese Cannon, è sbarcato in Asia con il progetto Pascal. «È un sistema – sottolinea Fierro – che permette di costruire impianti a basso consumo in settori notoriamente energivori. Siamo sicuri che questi mercati siano quelli nostri di elezione e siamo, temo, solo all’inizio. Di lavoro ce ne è, eccome».
«Perchè la crescita del Pil non può più oscurare l’inquinamento, le migrazioni, l’abbandono delle campagne, la dissipazione delle risorse – sottolinea Romeo Orlandi, coordinatore scientifico dell’Osservatorio. La macchina produttiva in questi paesi emergenti era in grado di assorbire le tensioni e rimandarne la soluzione. Oggi sembrano necessarie misure stringenti perché la prosecuzione degli stessi modelli di sviluppo si rivela impraticabile. La siccità, le inondazioni, il ciclo dei monsoni insidiano la stabilità sociale di paesi ancora largamente agricoli come India e Cina; i Governi sembrano indifesi rispetto a fenomeni che non riescono compiutamente a controllare. Tuttavia l’Asia rappresenta uno dei protagonisti per sciogliere nodi altrimenti inestricabili».
«La grande produttività e l’imponente consumo di energia da parte dei paesi asiatici impongono un ripensamento sia sugli stili di consumo che sulla produzione di energia. Questo ripensamento può e deve rappresentare un’opportunità di business per le nostre imprese, che hanno già percepito questa esigenza e che sono disposte ad investire in nuovi modelli di business», sottolinea Pier Andrea Chevallard, direttore di Promos.
L’Asia, dunque, a doppia faccia: problema e soluzione. Anche se Elena Cedrola, ricercatrice dell’università di Macerata, che ha studiato a lungo le aziende piccole e medie nei loro percorsi asiatici, mette sull’avviso i naviganti: «Per operare in Paesi così lontani occorre certo disporre di una tecnologia all’avanguardia, di un prodotto di qualità o di un marchio forte. Però – aggiunge – questa è spesso condizione necessaria, ma non sufficiente, specie se si vuole avere una presenza significativa e continuativa nel tempo. Per chi ha il know how, il vero problema resta quello di trovare un modello di gestione in cui le relazioni, sia orizzontali che verticali, possano diventare il vero motore di un’internazionalizzazione di successo».
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Le cifre dell’emergenza ambientale asiatica
23%
PRIMATO NEGATIVO CINESE
La Cina produce, stando ai dati dell’osservatorio Global Warming, il 23% del totale mondiale di diossido di carbonio. Le emissioni di carbonio raggiungono la cifra di 4.03 tonnellate per ogni cinese. Entro il 2025 i livelli di emissioni di carbonio sono destinati quantomeno a raddoppiare.
40
A CORTO DI ACQUA
La Cina soffre di mancanza di acqua a causa soprattutto dell’inquinamento. Ogni anno si registra una mancanza di circa 40 milioni di metri cubi di acqua.
Ogni anno i cinesi usano una quantità tale da risultare da cinque a sette volte quella usata dalla California del Sud.
254
BIG DELL’IMMONDIZIA
La produzione di immondizia in Cina è di 254 milioni di tonnellate all’anno, qualcosa come un terzo di chilo a persona, un terzo dell’immondizia prodotta all’anno nel mondo. Le prospettive? Si continua a crescere all’anno al ritmo del 4 per cento.
123
AL TOP DELLO SMOG
È il piazzamento raggiunto dall’India sui 163 previsti dalla classifica Environmental performance index, edizione 2010 per l’inquinamento. In certe zone del Paese i livelli di pericolosità e i limiti di contaminazione della flora terrestre sono stati oltrepassati.
516
UNA NAZIONE DI CONTADINI
L’India è la seconda più grande forza lavoro del mondo, con 516,3 milioni di persone, il 60% dei quali sono impiegati nel settore agricolo-industriale. È, per questo, anche una nazione che ha bisogno di imparare a utilizzare strumenti più avanzati di coltivazione.
50%
FUTURO NERO
Un rapporto pubblicato nel novembre 2009 a Washington dall’organizzazione «2030 Water Resources Group» sui quattro grandi paesi in via di sviluppo (India, Cina, Sudafrica e Brasile) rivela che nel 2030, se nulla cambiasse, l’India potrebbe provvedere soltanto al 50% dei suoi fabbisogni di acqua.