
Dalla Fiera di Bari segnali e opportunità per il Sud e l’Italia
Difficile riprendere i microcosmi territoriali dopo la “gelata agostana” con grandine finanziaria che buca i tetti delle imprese e rende incerto il raccolto, il profitto, il futuro. Se poi tracce di speranza le si cerca a sud, dove si arranca, e non nel nord est, che cresce a ritmi tedeschi, sembra un’ impresa di Sisifo. Non è tempo da bagattelle secessioniste: o tutti sommersi o tutti salvati. Quelli che sorvolano il mondo con i fulmini delle tre A non distinguono certo Milano da Bari.
Proprio da Bari, dove si è aperta la Fiera del Levante, vorrei ripartire. Mi aveva già colpito, come segno di un sud che ha da dire, la presunzione della Confindustria di Bari, guidata dall’intellettual-imprenditor Alessandro Laterza, di venire a Milano al teatro Elfo a rappresentare “L’eleganza del riccio; racconti di impresa”. Mettendo in scena storie di imprese eccellenti senza il solito lamento degli ultimi. Provocandoci, nella forma e nei contenuti, ad una nuova rappresentazione. Discontinuità nella rappresentazione che non può non chiamare in causa la Fiera del Levante. Realtà che ha caratterizzato tre grandi cicli di accompagnamento dell’economia meridionale come la fiera di Milano ha accompagnato la metamorfosi di quella settentrionale. Su al nord con la Campionaria, una funzione maieutica di diffusione dell’industrializzazione, al sud si provava a riprodurre tale percorso come sviluppo dall’alto. Poi al nord fiere proliferanti del capitalismo diffuso e Bari che diventa luogo dove il politico di turno arrivava ogni anno a lanciare promesse di infrastrutture e di interventi straordinari. Milano si è riposizionata come porta aperta nella globalizzazione dei mercati e dovrà dare prova di tenuta con l’Expo che verrà in questi tempi di crisi. Per entrambe le fiere il terzo ciclo posiziona queste autonomie funzionali delle merci del capitalismo in un contesto di tsunami finanziari, emergenza di nuovi competitor che mettono in discussione la tranquilla rappresentazione del nostro modello sociale produttivo. L’elegante metafora del riccio può chiudersi in sé, pensando che passerà e che tutto tornerà come prima. Oppure schiudersi al nuovo, bello o brutto che sia. Mettendosi in discussione, cambiando. Facendo del quartiere fieristico barese un luogo del territorio ove il sistema delle imprese, le rappresentanze degli interessi possono prender coscienza e responsabilità. Ci sta provando Gianfranco Viesti con la Fiera del Levante. Altro intellettual-imprenditor che si mette i gioco in quel di Bari. Con una visione del quartiere fieristico come spazio aperto permanete alla città, alla regione, al territorio. Si è partiti concretamente indicando i padiglioni e dando casa ai tanti giovani che, sull’onda delle politiche regionali, hanno creato imprese orientate ai lavori della conoscenza, dei servizi e delle creatività. Padiglioni sempre chiusi per tutto l’anno in attesa dell’evento diventano così sede di co-working con costi di mercato temperati. Guardando la composizione socio economica di Milano verrebbe da dire che anche per le proliferanti e precarie partite Iva milanesi sarebbe utile uno spazio pubblico-privato ove trovar casa. In Puglia, e in tutto il mezzogiorno in questi anni, è cresciuta una filiera agroalimentare di eccellenza e qualità e una economia a macchia di leopardo per il turismo. Partendo da questa imprenditoria diffusa si tratta con Farinetti, quello di Eatitaly che va da Torino a New York, per attrezzare un padiglione permanente del food del sud. Si tratta con il mercato, con le reti che portano nel mondo la qualità italiana. Si dialoga e si apre all’insediamento del padiglione delle imprese del software cresciute in Puglia anche grazie all’esperienza di Tecnopolis e all’accompagnamento del Politecnico. Creando così un polo terziario per le imprese a cui si aggiunge il progetto di insediamento dentro il quartiere fieristico dell’edificio del Partenariato Sociale. Progetto voluto da Confcommercio e Confindustria e rappresentanti delle piccole imprese. Tutti hanno problemi di costi per le strutture e le imprese, mai come ora, hanno bisogno di servizi e rappresentanza efficienti. Siamo di fronte a una ristrutturazione pragmatica che si pone come primo obiettivo di riqualificare e riempire spazi vuoti con funzioni, relazioni socio economiche e vitalismo imprenditoriale. Si sa che gli spazi vuoti, ancor più se poi si affacciano sul lungo mare di Bari e si incuneano nel centro della città, se non vivono diventano luoghi delle speculazioni immobiliari. Se il quartiere vive mobilitando architetti locali, senza scomodare le spettacolari archistar, può essere collegato al porto turistico in corso di realizzazione e, perché no, diventare come a Genova un modo in cui la città si riprende il mare. Riposizionato nello spazio di posizione urbana e regionale, il quartiere fieristico diventa opzione forte per Bari città regione, terminale della città adriatica e crocevia del levante. Si lavora quindi per dare reti e contenuti alla Fiera come spazio di rappresentazione. Un moderno centro congressi ristrutturato dal Politecnico prevede una sala polifunzionale di 3mila posti, molto pragmatico nei numeri e nelle funzioni. La ricettività di Bari non va oltre quei numeri quindi non mega strutture come a Milano o a Rimini, ma un polo medio per congressi ed eventi da trarre a sud da nord.
Poi il balzo a levante, oltre il mare corto. Il corridoio 5, l’area balcanica, Russia, Turchia, Egitto… Lo spazio di globalizzazione a medio raggio, dove l’Italia, partendo da Bari, può giocarsela come un sistema paese che è il “più grande” dei piccoli, dialogando con gli emergenti che stanno in mezzo tra noi e il far east, ove se la giocano India e Cina. Per questo si va a Milano e si chiede a Unicredit per la Turchia e a Banca Intesa per l’Egitto di mettere a fattor comune la loro presenza e il loro accompagnamento delle imprese che attraversano il mare. La Fiera del Levante, così ridisegnata, superato il rito della Campionaria e degli annunci politici che volevano esportare al sud lo sviluppo senza autonomia, potrà essere porta del territorio italiano nei nuovi spazi geoeconomici da percorrere. Auguri. Ne hanno e ne abbiamo bisogno. Per ricominciare a pensare che, nonostante la tempesta finanziaria, è possibile tracciare uno sviluppo che verrà.
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