Rassegna stampa

«Più sinergie contro i competitor sleali»

Sembra che il tre sia la cifra che segna l’avvio della torinese Licia Mattioli alla guida di Federorafi nazionale. Eletta il 3 maggio scorso, gli slogan che contraddistingueranno la sua presidenza vanno a ritmo di tre: «Unire, unire, unire» una realtà produttiva in Italia e in Piemonte molto polverizzata (la media è di 3,7 operatori per azienda). «Ho già cominciato a lavorare in questo senso – dice – e la risposta è fantastica».
E poi: «parlare, parlare, parlare» al mondo dell’informazione e a quello della politica per far conoscere la vita e i problemi delle imprese orafe, «mai veramente ascoltate», dice la neopresidente.
«C’è bisogno di comunicazione. Non dobbiamo continuare a essere come uno che urla a più non posso ma in una stanza ermeticamente chiusa. Alla politica chiediamo regolamentazioni e leggi (poche!, di tutela, sulle pietre preziose, sul “made in”, sui titoli e sui marchi). C’è speranza nonostante il permanere di un clima triste e dai problemi endemici tra le aziende orafe, a Valenza come negli altri distretti italiani di settore». Gli orafi scontano, secondo la neopresidente, «un sistema-paese poco efficiente, che non ha mai aiutato il comparto».
«Tuttavia, ci sono eccellenze – aggiunge – che stanno reagendo bene alla crisi, soprattutto quella del 2009, ma questi sforzi hanno bisogno di aiuto». Il primo modo per dare questo aiuto è «parlare col settore, e la categoria stessa deve essere capace di rappresentarsi». Da lì in poi i problemi da affrontare sono tantissimi. «Bisogna ridare alle imprese orafe il libero mercato. Gli esempi sono tanti. Dall’obbligo della punzonatura (marchiatura), per esempio in Francia, per i gioielli italiani che sono venduti lì (col rischio di rotture e danni su prodotti finiti), ai dazi incredibili che la nostra merce ha sul mercato statunitense, cosa che non succede invece per i prodotti orafi che arrivano in Usa dall’India o dalla Cina». La politica, secondo Licia Mattioli, deve intervenire per contrastare la concorrenza sleale, per porre un freno al fenomeno delle copiature del design. quanto alla protezione del design siamo veramente al disastro».
Occorre poi anche, «estendere alle aziende orafe il trattamento sui costi dei campionari concesso alle imprese del sistema moda (cioè scaricati come costi a bilancio)». Quanto al problema del luogo di produzione dei gioielli per tutelare il “made in” la neopresidente di Federorafi fa la sua proposta: «Non ho nulla contro chi decide di andare a produrre fuori dal nostro territorio, ma prendiamo esempio dalla Svizzera: come ha fatto per tutelare il “made in” per i suoi orologi? Imponendo circa il 75% di lavorazione in Svizzera. Facciamo anche noi così, anzi, di più: stabiliamo che almeno il 90% del prodotto orafo italiano sia realizzato qui». Mattioli plaude all’idea di dare vita a una rete vendita speciale (si veda l’articolo qui sopra): «È ottima, ma dovrebbe essere lanciata a livello di distretto orafo italiano per evitare il problema di una parcellizzazione dei mercati».
Infine, l’ultima sfida, da lanciare al settore: «Puntiamo a una, massimo due fiere di settore dove raccogliere tutta la ricchezza di proposta del nostro mondo. Una scelta che sarà apprezzata dai buyer mondiali».
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