
Torna il denaro alla fiera dell’Est
Che fine ha fatto l’Europa dell’Est? Dopo un periodo di gloria, un’intera area del continente – e un dinamico segmento di mercato per l’industria del risparmio – è scomparsa dagli schermi. Salvo poi, negli ultimi mesi caratterizzati dall’esplosione di nuove emergenze geopolitiche, dare segni di risveglio. Uno tra i tanti è rappresentato dal lancio di nuovi prodotti gestiti, dopo la parentesi di silenzio. Non solo fondi azionari, ma anche altre tipologie meno aggressive (come i prodotti obbligazionari), per assecondare il mood freddo verso le Borse che in questa fase sembra prevalente tra i risparmiatori.
Corsi e ricorsi storici, percorsi carsici che testimoniano come anche nell’industria del risparmio i temi di investimento nascano, vivano momenti di gloria e poi talvolta finiscano ai margini. Anni fa di Europa dell’Est si parlò molto e, nel mondo del risparmio gestito, ci fu una notevole pressione commerciale che portò tra l’altro a una fioritura di offerte. Alle proposte dei fondi comuni, qualche tempo dopo, si sono aggiunti i “cloni”, cioè gli Etf (Exchange traded fund) a gestione passiva specializzati in quell’area geografica. Si trattava, del resto, di seguire un’onda lunga che non riguardava solo i risparmiatori, ma coinvolgeva grandi flussi internazionali di investimenti che vennero realizzati anche da molte imprese italiane e accompagnati da numerose banche. Le prime avanguardie, anche italiane, si fecero avanti già negli ultimi due decenni del secolo scorso.
Fu un fenomeno di vastissime proporzioni, che ha avuto il merito di dotare quei paesi di strutture che, con le sole forze finanziarie locali, non si sarebbero potute realizzare. L’albero è cresciuto rapidamente, ma un po’ storto e ha poi presentato il conto sotto forma di risultati non sempre all’altezza delle aspettative degli investitori. Molti nodi dello sviluppo di quei paesi dal socialismo reale all’economia di mercato sono venuti al pettine e la crisi ha fatto il resto. Per dare un’idea, dalla primavera del 2007 a oggi il mercato azionario europeo (riflesso nell’indice Msci Europe, riportato anche in pagina) ha perso il 21,3%, mentre il benchmark di area (Msci Em Eastern Europe), pur schivando qualche colpo, è rimasto comunque in profondo rosso con una perdita superiore al 12 per cento.
Anche a causa di questi risultati poco entusiasmanti (almeno rispetto alle aspettative di partenza), all’iniziale accelerazione è seguito il periodo di appannamento. Nel frattempo la frontiera del risparmio si è spostata verso altre aree emergenti, alla perenne ricerca di nuovi Klondike. Infine, il “tornante della storia” rappresentato dalla profonda recessione ancora in corso ha riportato in superficie anche l’Est Europa, trasformando ancor più in profondità lo scenario.
Questo naturalmente non significa che tutta l’Europa dell’Est sia tornata a brillare come la stella polare nella notte dei mercati. In realtà, la luna di miele tra economie più avanzate ed Est sembra irrimediabilmente finita. È facile capire i motivi: la forte dipendenza dai flussi finanziari provenienti dall’Occidente – ora molto meno abbondanti – e la fragilità delle economie locali, a cui in alcuni casi si aggiungono mancanza di regole e poca trasparenza. C’è chi è riuscito a limitare i danni (Polonia, Slovacchia e Slovenia), ma in generale proprio la presenza di capitale straniero ha fatto da micidiale virus di trasmissione dell’ultima crisi. Basti pensare al sistema bancario (da cui si è originato il ciclone subprime), che nell’Europa dell’Est è in buona parte posseduto da istituti occidentali, anche se in percentuale variabile (dal 35% della Slovenia al 99% dell’Estonia).
«Ma nonostante tutto – commenta Giorgio Mascherone, responsabile investimenti di Deutsche Bank in Italia – l’Est Europa è ancora considerata un’area emergente e quindi le prospettive sono interessanti, soprattutto nel medio termine, poiché si tratta di paesi a più alta crescita (rispetto ai classici sviluppati), al momento relativamente al riparo da rischi inflattivi e con la possibilità, per alcuni più forte di altri, di prendere vantaggio dalla crescita globale». Dunque, nel panorama c’è qualcuno che spicca e la capacità di centrare il bersaglio resta l’elemento determinante. «La nazione con le maggiori chance – conclude Mascherone – è la Russia, grazie all’enorme disponibilità di gas e petrolio, in un momento storico in cui la domanda di energia cresce a ritmi esponenziali e vi sono difficoltà di ordine geopolitico in alcuni dei paesi produttori. Ma non vanno trascurate Repubblica ceca e Slovacchia».
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Indici a confronto
I grafici relativi al continente europeo e all’Europa dell’Est – con base 1° marzo 2007 = 100 – mostrano la diversa reazione dei mercati negli anni della crisi finanziaria originata dai mutui subprime. Il confronto mette in luce che i mercati dell’Est hanno manifestato una buona capacità difensiva, smussando
il picco negativo: mentre la perdita dell’indice Msci Europe
è stata del 21,3%,
il benchmark Msci Em Eastern Europe è arretrato del 12,1 per cento. Tuttavia l’Est Europa non presenta una delle caratteristiche tipiche di altre aree emergenti, cioè la capacità di sovraperformare nelle fasi economiche positive