
Nei settori più strategici pesano i saloni-fotocopia
La crisi mette a dura prova la resistenza delle fiere italiane ma non la spunta. Dopo due anni di apnea, il sistema fieristico tricolore tira un primo sospiro, anche se il cammino è ancora lungo e incerto. Nel 2010 si sono stabilizzati i ricavi dei principali poli fieristici ed è lievemente migliorata la redditività grazie alla razionalizzazione dei costi, con il ricorso anche a pre-pensionamenti e Cig. «Si sono investite – osserva Ettore Riello, presidente di Aefi, l’Associazione esposizioni e fiere italiane e presidente di Verona Fiere – ingenti risorse per contenere l’urto della recessione: si è evitato di chiudere le fiere aiutando gli espositori. Quando si trattava di eventi ospitati si è posto l’accento sugli organizzatori. Alla fine del 2010 il numero delle manifestazioni è rimasto sostanzialmente invariato». Riello poi sottolinea che le risorse anti-crisi sono state recuperate all’interno del circuito societario, senza gravare sugli azionisti o sul sistema pubblico.
Ora che fare per uscire completamente dal tunnel? «Bisogna – risponde Riello – progettare nuovi modelli di business, razionalizzare e fare innovazione di prodotto». Tradotto, significa: vendere solo spazi non paga più, bisogna fare anche gli organizzatori delle mostre; poi è importante entrare in business correlati, come il congressuale («Rimini in primis, ma anche Milano, Napoli, Roma»); infine creare alleanze e reti per sviluppare eventi di nuova concezione. E internazionalizzarsi cioè acquisire operatori esteri, come ha fatto Fiera Milano con la brasiliana Cipa e che potrebbe bissare in Russia, oppure replicando all’estero gli eventi nazionali di successo, come fa Veronafiere con Vinitaly World Tour e Marmomacc Americas. Veronafiere dell’internazionalizzazione nei paesi Bric e negli Usa ne fa addirittura una questione prioritaria, tanto da investire sette milioni, il 10% del piano industriale 2010- 2014. Bologna Fiere ha in portafoglio 16 manifestazioni estere in mercati chiave.
In Italia ogni anno si svolgono un migliaio di manifestazioni con 20 milioni di operatori e affari per 20 miliardi. Grandi numeri per un grande sistema produttivo: infatti il 50% del l’export tricolore trae origine dalle manifestazioni espositive nonostante sia vero che nel calendario italiano ci sono decine di eventi fotocopia che, non di rado, si celebrano a distanza di pochi giorni o soltanto a qualche decina di chilometri l’un dal l’altro.
Una sorta di giungla che però finisce col penalizzare il sistema Italia e che ora apre delle falle nel modello di business: calo di espositori (nonostante il taglio dei prezzi al metro quadrato degli stand) e visitatori, investimenti sovradimensionati, conti in rosso.
Ma a soffrire è l’intero sistema fieristico europeo, compresi i tedeschi: per esempio, il mega polo di Hannover, sede di grandi eventi industriali, avrebbe chiuso il 2010 con una maxi perdita di 40/50 milioni di euro.
Come ripartire dopo la crisi? Per Antonio Cellie, ad di Fiere di Parma, «bisogna costruire un sistema fieristico italiano originale che non sia né il modello tedesco, troppo orientato al business, né quello “turistico” francese. Ma nemmeno un modello a bassissimo tasso di occupazione degli spazi qual è oggi». E la piaga delle fiere-fotocopia? Per Paolo Lombardi, presidente della Fiera di Genova, «è giusto che si arrivi a un calendario nazionale condiviso, limitato però alle manifestazioni che giocano in “champions league”. Cioè le grandi fiere come, per esempio, il salone del mobile, la nautica, il Cosmoprof e varie altre debbono giocare le partite internazionali. Per le altre invece massima libertà e vinca il migliore».
Lombardi ammette che «una crisi così profonda non s’è mai vista». Poi sul maxi investimento da 40 milioni del padiglione di Jean Nouvel inaugurato a Genova nel pieno della recessione, Lombardi sottolinea che «l’investimento non pregiudica niente: la situazione debitoria è assolutamente sostenibile. Quest’anno avremo 18 manifestazioni, con un paio di novità».
Veronafiere invece intende completare la filiera delle rinnovabili «con la proposizione annuale di Bionergy Expo dedicata al settore agricolo negli anni dispari in abbinata con Solarexpo e Grennbuilding e, in quelli pari, con Fieragricola».
Rimini Fiera, dopo aver posto una testa di ponte nel comparto industriale (con Technodomus e Packology), quest’anno punterà su quattro nuovi eventi, tra cui Agrifil, agroalimentare, in concorrenza con l’Eima di Bologna e Macfrut di Cesena. In stand by invece il rafforzamento nel congressuale con l’apertura del Palacongressi, mega investimento di 110 milioni ma oggi bloccato da problemi strutturali antisismici.
Continuano insomma a fiorire nuove manifestazioni fotocopia che creano confusione. Certo una strada difficile perché si tratta, da un lato, di mettere a punto un sistema armonico ma che, dall’altro, non crei cartelli o svilisca il mercato. Il tavolo voluto dall’ex ministro Urso che lo coordinava va avanti (si veda a pagina 3). «Mi auguro – sostiene Riello – che presto conosceremo il nuovo interlocutore. Il tavolo è comunque operativo con i gruppi di lavoro impegnati sui temi del coordinamento del calendario fieristico e della certificazione. Ed è operativo anche l’accordo di settore per l’internazionalizzazione del sistema fieristico: a breve, saranno noti i progetti che, a seguito di tale accordo, sono stati finanziati per il 2011». Ma ha senso che Aefi tratti per l’intero sistema senza il peso massimo Fiera Milano (è uscita dall’associazione lo scorso 22 novembre)? «È vero – ammette Riello – suona strano. Speriamo ci ripensino: abbiamo bisogno l’un dell’altro. In caso contrario, anche i grossi corrono dei rischi se i piccoli diventano aggressivi».
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