Rassegna stampa

Pitti Uomo resiste grazie agli accessori

La ripresa è di moda. O almeno pare esserlo, se si guarda agli ultimi risultati di Pitti Uomo. A giugno scorso l’ultima edizione del salone fiorentino che si svolge ogni anno alla Fortezza da Basso ha registrato numeri importanti. In totale quest’anno Pitti Uomo ha ospitato oltre 32mila visitatori, 972 marchi rappresentati, 19.200 compratori (+6% rispetto all’anno passato) con un incremento del 12% tra gli stranieri. A Pitti Uomo tutti i principali mercati esteri hanno registrato numeri in crescita, con aumenti a due cifre per Spagna (+16%), Gran Bretagna (+33%), Stati Uniti (+13%), Russia (+36%), Cina e Hong Kong. È l’export a trainare l’ottimismo per la moda maschile, i primi dati positivi arrivano infatti da Stati Uniti e Francia.
«Quello che è emerso è che i compratori sono rinfrancati – afferma Gaetano Marzotto, presidente di Pitti Immagine – e le pre-collezioni vendute a Natale sono andate benissimo, mentre l’anno scorso in alcuni paesi si era registrato un calo disastroso delle vendite, anche del 20 per cento». Questa primavera i paesi scandinavi, la Germania, l’Inghilterra, la Russia sono tornati protagonisti degli acquisti al salone fiorentino. Anche se dall’Europa mediterranea si è registrato un arresto delle vendite, altre realtà, come certe zone del Medio oriente, sono in netta ripresa secondo il presidente di Pitti Immagine: «Quest’anno non abbiamo ancora recuperato i numeri del 2007 e dell’inizio 2008, che erano assolutamente positivi, ma posso affermare che ci siamo vicini». Infatti la crisi recente ha colpito duramente anche la manifestazione fiorentina. «Da ottobre 2008 a marzo 2009 – riprende Marzotto – tutta la filiera ha ridotto le scorte e ha indotto un crollo degli ordini. Da marzo scorso, invece, sono ripartite le esportazioni del Made in Italy e c’è stata una grande ripresa delle vendite, soprattutto dei flash-moda», ovvero piccoli pacchetti di prodotti. «Il segreto è che di mille clienti che possono passare quotidianamente in una boutique, gran parte scelga di portare a casa questi piccoli acquisti».
Si tratta di strategie dinamiche utili a superare le difficoltà. «Noi siamo “Uomo” ma facciamo anche cose “easy”: ci sono settori gestiti da giovani talenti, per esempio i pop-up store che vendono accessori come camicie, maglioncini, braccialetti, perché in momenti di crisi si cerca il dettaglio più che il grande capo». E per il futuro l’obiettivo prioritario è intercettare sempre più l’immaginario del cliente. «Questo periodo è stato duro, con tagli dei costi per rendere più competitive le aziende. Ma abbiamo ricominciato a pensare al life-style, a intercettarne i momenti, a seguire il consumatore in tutta la sua vita». E questo è più facile se dietro c’è un’organizzazione produttiva interconnessa. «Pitti Uomo è uno dei rari esempi di sistema integrato: filati, tessuti e abbigliamento sono parte della stessa spina dorsale». D’altra parte in Italia c’è un problema di frammentazione tra gli operatori del settore, i marchi e i poli fieristici. «A differenza dei francesi e degli americani che si sono consolidati in grandi gruppi – conclude Marzotto – noi abbiamo molti piccoli e medi marchi. Per superare queste divisioni e supportare queste realtà abbiamo quindi creato i “Pitti desk” per vendere nei mercati emergenti come Cina, India e Brasile».
D’altra parte, per Pitti Immagine è fondamentale il rapporto con il capoluogo toscano che ospita la manifestazione, come spiega Lapo Cianchi, direttore comunicazione e progetti speciali di Pitti Uomo: «Tutta la città si muove attorno a Pitti, c’è una grande osmosi con Firenze. Rispetto alle sfilate dorate della settimana della moda che possono esserci in altri grandi centri, noi aiutiamo gli operatori del settore a godere della manifestazione in modo più rilassato, a contatto con la città». Il riferimento a Milano è tutt’altro che casuale. «A Milano ci sono le sfilate, la moda, i grandi marchi – riprende Cianchi – mentre Firenze espone la migliore industria italiana che guarda al design ed è una piazza dove forse è più possibile sperimentare creazioni giovanili e nuovi brand». Ma Cianchi invita a una competizione costruttiva tra Milano e Firenze: «Certo può esserci stato qualche attrito, ma sono sicuro che la convinzione comune è quella di cooperare. Perché sia noi che loro sappiamo che il sistema Italia lavora se funzionano sia le manifestazioni milanesi che quelle fiorentine».
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PITTI BIMBO
Firenze lancia la caccia agli stilisti per under 14
Oltre 500 marchi nell’edizione di fine giugno
«Quando c’è da lanciare un prodotto per bambino bisogna passare da Firenze, non c’è altra occasione al mondo per un’offerta così strutturata».
Così Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, parla di Pitti Bimbo, l’unico salone internazionale che dà una rappresentazione completa dell’universo della moda bambino: dallo sportswear al classico-elegante dei grandi brand, accanto anche al design e al tessile.
La manifestazione si è conclusa a Firenze a fine giugno scorso. «Oltre 500 marchi, di cui la metà stranieri – riprende Napoleone – con otto sezioni che cercano di interpretare tendenze e segmentare il mercato. Chi vuole intercettare il “business” del bambino, che ha sofferto nel periodo di crisi, deve passare per Pitti Bimbo». Anche se quest’anno c’è stato un calo delle vendite del 7%, in particolare a causa dei buyer russi. Invece gli acquisti per i neonati giapponesi hanno rappresentato un vero e proprio boom: +54 per cento.
«Si potrebbe dire che il neonato è “anticiclico”, perché per loro comprano molto i parenti, in particolare i nonni, e si tratta di acquisti di cui difficilmente si fa a meno». E la moda bimbo si avvicina sempre più a quella “senior” se anche brand come Gucci hanno deciso di dedicarsi al tema. Per questo l’esposizione fiorentina ha lanciato il concorso “Who is on Next?” per scovare nuovi talenti nella moda bambino tra i giovani designer. Adesso l’obiettivo è interpretare il life-style contemporaneo, applicandolo ai più piccoli.
«Il bambino si veste generalmente in maniera molto elementare, anche perché il capo di un bimbo dura appena qualche mese. Per questo cercheremo di interpretare sempre di più tutti i momenti della vita di un bambino, per poter adattare l’abbigliamento alle sue esigenze specifiche».

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