
Il mobile riparte con l’export
I cattivi risultati del 2009 non hanno spaventato più di tanto gli imprenditori del sistema mobile. Anzi. Sono infatti parecchi i protagonisti, dagli architetti ai designer, che hanno messo in campo strategia nuove, e diversificate (dall’illuminazione all’arredamento) per “conquistare” i visitatori, in gran parte stranieri, che sono attesi numerosi al Salone del mobile di Milano, la grande fiera che, da mercoledì 14 a lunedì 19, occuperà tutti i padiglioni di Rho e coinvolgerà l’intera città con presentazioni, eventi e mostre.
I numeri dicono che i distretti industriali dell’arredo-casa hanno archiviato un 2009 non propriamente positivo sul versante delle esportazioni (e della produzione). Nello scorso anno – il periodo in assoluto più nero della storia recente delle aree sistema e dell’intero made in Italy – l’export dei 101 principali cluster manifatturieri monitorati dalla Fondazione Edison è stato di 56,2 miliardi di euro, in calo del 20,6% rispetto al 2008, avendo lasciato per strada una quindicina di miliardi. Secondo la World trade organization (Wto), le esportazioni manifatturiere 2008 dell’Italia nel suo complesso avevano superato i 103 miliardi di euro. Per i mobili è però andata leggermente peggio: i 16 distretti dell’arredo-casa, sempre secondo le rilevazioni omogenee della Fondazione Edison, sono infatti arretrati sui mercati esteri del 21,9 per cento. Da sottolineare che l’industria del mobile (il sistema legno-arredamento ha un giro d’affari che supera largamente i 35 miliardi di euro) è una delle colonne portanti dell’industria: non per niente il sistema dell’arredo-casa è una delle cosiddette “quattro A” analizzate da Marco Fortis insieme ad abbigliamento-moda, automazione-meccanica, alimentari e vini. Da ricordare che sei mobili su dieci del made in Italy vengono prodotti nei distretti, che assorbono anche il 45% degli addetti.
Va inoltre tenuto presente che non tutti i cluster marciano alla stessa velocità. Ecco un paio di esempi. Nel triangolo delle Murge, tra Santeramo in Colle, Altamura e Matera, fino al 2006 le aziende erano 110 con 8mila addetti. Oggi, solo nel Materano, gli occupati sono scesi da 5mila a 2.500 (e l’azienda leader del settore salotti in pelle ha dovuto affrontare non pochi problemi). Livenza e Quartiere del Piave, a cavallo tra le province di Treviso e Pordenone, rappresentano invece il primo cluster, anzi metadistretto, del mobile italiano (314 imprese per 11mila addetti), che negli anni d’oro pre-crisi è arrivato a produrre il 23% dell’arredamento italiano, di cui il 52% piazzato sui mercati esteri (ultimamente l’area sistema ha manifestato segnali di ottimismo e di recupero degli ordinativi).
Ma torniamo ai dati. Non tutto, infatti, va così male come dicono i numeri nudi e crudi. Vediamo perché. Se disaggreghiamo le statistiche per trimestre, vediamo che nel periodo ottobre-novembre-dicembre le esportazioni del comparto sono arretrate “solo” del 15,6 per cento. Il che vuol dire che il settore entra comunque in accelerazione nel 2010. Nel primo trimestre del 2009 il calo era infatti stato del 28%, rallentato al 23,8% nel secondo e al meno 19,7% nel terzo trimestre.
Perché la disaggregazione temporale è così importante? Dal momento che la nostra specializzazione produttiva nella divisione internazionale del lavoro (prodotti per la casa e la persona) è fortemente legata alla domanda dei mercati esteri, le esportazioni fanno da volano quando la congiuntura mondiale è positiva, ma rappresentano una terribile zavorra che frena la nostra corsa industriale quando le cose vanno meno bene.
Da notare, inoltre, che nell’ultimo trimestre del 2009, tre distretti del sistema casa (i mobili imbottiti di Forlì, il sistema-legno del Casalasco-Viadanese e le lavorazioni di ardesia di Val Fontanabuona) hanno già messo a segno delle performance positive rispetto al periodo ottobre-dicembre 2008 che era stato duramente segnato dalla crisi, conclamata con il fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008. In Brianza «resistono» anche i piccoli del mobile (c’è una concentrazione di 6,5 aziende per chilometro quadrato) che hanno contenuto il calo dell’export 2009 tra il 9 e il 12%, utilizzando molto poco la cassa integrazione e preferendo invece smaltire le ferie arretrate: circa un terzo delle imprese possiede già una linea di mobili di design “low cost” che, mediamente, vende il 9% in più rispetto a quella tradizionale.
Ovviamente, lo tsunami della crisi finanziaria non ha risparmiato i distretti industriali, i portabandiera del made in Italy. Nè poteva essere diversamente. Già in passato erano in pochi, ma oggi non c’è più nessun economista disposto a sostenere la tesi che il distretto rappresenti una ricetta magica per lo sviluppo. Anzi.
La cassa integrazione delle sole aree sistema ha superato i 12 milioni di ore e adesso sta mordendo la struttura produttiva dei “cluster”, specie nei comprensori dove prevalgono la subfornitura e la carenza di marchi affermati (nel settore è il caso, ad esempio, del comprensorio della sedia di Manzano, in provincia di Udine).
Ma la crisi, come accennato, non colpisce allo stesso modo tutti i sistemi produttivi. Ci sono aree che hanno imparato a difendersi (grazie al fatto di essere state capaci di ristrutturarsi e di rafforzarsi negli ultimi anni). Altre che si sono messe in collegamento strutturale con le “reti lunghe” di nuovi paesi e professionalità. Inoltre, in alcune zone, sono fiorite piccole realtà che, pur partendo da numeri contenuti, mantengono la ferma determinazione di voler crescere.
Insomma sembra proprio che ci sia ancora un tessuto connettivo industriale ed economico robusto che fa ben sperare nella capacità di riacciuffare i primi sintomi di ripresa. Molti però, come ad esempio l’Aip, l’associazione italiana per le politiche industriali guidata da Domenico Palmieri, sono pronti a scommettere sul superamento dei classici cluster territoriali attraverso i sistemi a rete.
franco.vergnano@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA