
«Frammentazione nodo strutturale»
«Favorire l’internazionalizzazione del sistema fieristico italiano può essere molto difficile, ma è un obiettivo nel quale vale la pena investire tutte le risorse necessarie». Ne è convinto Massimo Mamberti, 69 anni, direttore generale dell’Istituto nazionale per il commercio estero (Ice), che commenta così le prospettive di sviluppo delle fiere italiane al di là dei confini nazionali.
Da dove deriva la bassa propensione all’internazionalizzazione delle fiere italiane?
Il problema è strutturale: rispetto ad altri Paesi, come Francia e Germania, l’Italia ha un numero molto elevato di aziende attive in tutti i settori della produzione, dall’alimentare al meccanico. Noi facciamo tutto, e in gran quantità, mentre Paesi industrialmente più forti si concentrano su pochi settori. Per questo, le fiere italiane registrano la presenza di un gran numero di imprenditori e operatori nostrani, a scapito della presenza di player internazionali.
Con quali conseguenze?
Per gli operatori esteri, partecipare a una fiera caratterizzata quasi esclusivamente da prodotti italiani è meno conveniente che puntare su un evento realmente multinazionale. Questo è vero soprattutto in tempi di crisi, e a maggior ragione se si considera che il sistema fieristico italiano è estremamente frammentato. In Francia e Germania ci sono 23 centri fieristici, in Spagna soltanto 12: noi ne abbiamo 40. Il maggior numero di fiere non può che andare a scapito del flusso di visitatori per ciascun evento. Molti enti stranieri, inoltre, hanno cominciato a esportare le loro fiere più forti, una possibilità remota per le controparti italiane, proprio a causa della ridotta presenza di imprenditori esteri.
Quali misure adotta l’Ice per favorire l’affermazione delle fiere italiane all’estero?
Abbiamo sviluppato un sistema di misure ordinarie e straordinarie. Da un lato, provvediamo a invitare regolarmente operatori e giornalisti stranieri alle nostre fiere; parlo di numeri importanti, oltre 2.500 imprenditori l’anno, la cui presenza è anche frutto dell’impegno dell’Ice. Abbiamo poi dei progetti ad hoc, come l’accordo generale siglato già nel 2004 tra il ministero delle Attività produttive, l’Aefi, il Comitato fiere industria e il Comitato fiere terziario, con lo scopo esplicito di favorire l’internazionalizzazione del sistema fieristico italiano. L’Ice fa parte del comitato di valutazione che attribuisce i fondi stanziati ai progetti meritevoli.
Qual è l’investimento previsto per il 2009?
Per il 2009 sono stati stanziati oltre 2 milioni di euro per realizzare progetti congiunti tra il ministero dello Sviluppo, l’Ice e gli enti fieristici. A questi fondi pubblici si aggiunge un investimento di pari portata da parte degli operatori privati. Abbiamo così valutato 45 progetti, 22 dei quali sono stati ritenuti idonei al co-finanziamento e riceveranno fino a un massimo di 200mila euro ciascuno dal ministero e altrettanti dagli enti privati.
Nel nuovo scenario globalizzato e informatizzato, qual è l’importanza delle fiere per la promozione del made in Italy all’estero?
Le fiere restano uno degli strumenti principali per far conoscere i nostri prodotti al l’estero e crescere sui mercati internazionali. In prospettiva, dovremo senz’altro guardare all’informatizzazione dei rapporti come supporto alla produzione, ma su mercati importanti come quello russo le fiere rappresentano tuttora il luogo migliore, fisico e insostituibile, in cui incontrare operatori e imprenditori. Per questo è importante fornire al sistema fieristico il giusto supporto di cui ha bisogno per crescere.