Rassegna stampa

Fiera Milano cresce all’estero

Marco Alfieri

MILANO

Il made in Italy, specie il segmento delle Pmi, «guarda con moderata fiducia al proprio futuro e crede alla ripresa dal primo trimestre 2009». Questa la sintesi del primo Rapporto annuale della Fondazione Fiera Milano, presentato ieri all’apertura dell’anno fieristico 2008-2009. L’analisi non ha valenza scientifica quanto a campione quantitativo, tuttavia è indicativa poiché si concentra su tre settori trainanti del nostro manifatturiero (arredamento, moda e meccanica strumentale) partendo dai dati dell’Osservatorio economico territoriale di Fiera Milano (73mila interviste fatte dal 2000 ad oggi ad aziende espositrici). Dunque una miniera importante, elaborata dai ricercatori di università Cattolica e Bocconi, ottenuta isolando «alcuni indicatori come la self-confidence degli imprenditori, l’impegno all’innovazione e l’Italy confidence, ossia la percezione più generale dell’economia italiana».

Così ad emergere, in controtendenza allo sboom finanziario mondiale, è l’ottimismo dei piccoli che vedono la luce in fondo al tunnel (il 78,6% delle aziende espositrici ha infatti meno di 50 addetti). Un refolo di ottimismo sottolineato dal presidente della Fondazione, Luigi Roth, quando ricorda che «per osservatori e operatori siamo un’autorevole piattaforma di lancio per l’economia manifatturiera, poichè consente alle Pmi italiane di esporsi ai mercati internazionali». Una piattaforma che l’amministratore delegato di Fiera Spa, Claudio Artusi, declina in un nuovo paradigma fieristico: «Dal classico incontro domanda/offerta con l’obiettivo di generare fatturato e ordini a una vetrina in grado di offrire visibilità, immagine e soprattutto opportunità». In una parola: una piattaforma sempre più internazionalizzata capace di generare valore per le aziende. Come? «Da un lato esportando manifestazioni in paesi-target prioritari (mercati emergenti extra-europei), dall’altro sviluppando la multi-domesticità, ossia alleanze stabili con una rete di partner su competenze specifiche di alto livello».

E’ il caso dell’accordo per organizzare fiere in Cina con Hannover Messe, delle esposizioni programmate in Iraq e Vietnam nel 2009, ma anche dei «diversi dossier aperti, non solo in America Latina per estendere il nostro business» di cui ieri accennava sempre Artusi. «Il nostro vantaggio, infatti, è che non siamo indebitati, per cui possiamo crescere per linee esterne facendo leva. E’ una grande rivoluzione culturale quella che attende le fiere». E’ rivoluzione culturale ed è il mantra usato anche nelle conclusioni del Sottosegretario al Tesoro, Luigi Casero, che ha criticato l’eccesso di finanza, l’egemonia delle banche d’affari e l’abuso di strumenti derivati che hanno portato alla crisi finanziaria americana.

«E’ ora di ripensare il modello di politica economica – ha detto il Sottosegretario – avvicinando le scelte macro alle ragioni dell’economia reale, che è l’unica fonte di sviluppo, come emerge anche dal vostro rapporto». Insomma una vera lezione di tremontismo culturale nel cuore del potere formigoniano (la fiera). Un paradigma elogiato direttamente dal padrone di casa, Roth, secondo cui il Rapporto nasce proprio dall’esigenza «di contribuire allo sviluppo di un mondo imprenditoriale che si sente spaesato di fronte ai cambiamenti dei mercati». Per questo, «in alcune iniziative del suo dicastero – ha detto rivolgendosi a Casero – ritrovo un indirizzo neo-keynesiano in cui l’impresa viene supportata dallo stato attraverso la creazione di strutture e infrastrutture. Che poi è il modo con cui il calabrone, la nostra economia, può continuare a volare», ha concluso Roth.

Naturalmente non poteva mancare il Godot dell’Expo. Tutti i big ieri in fiera si sono esercitati sul decreto che non c’è. Il sindaco Moratti, sottolineando «l’importante contributo fieristico alla conquista dell’Expo», ha sollecitato il governo «a stanziare i soldi per colmare le lacune ventennali nel settore infrastrutturale». Il presidente della Camera di Commercio, Carlo Sangalli, invece ha citato Seneca: «non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto». Più diplomatico Formigoni: «Siamo sul filo, non ancora in ritardo. Ma bisogna accelerare sulla governance».

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