Rassegna stampa

Italia, la Shoah nel cassetto

di Simon Levis Sullam*

Nonostante gli appelli al ricordo, le giornate della memoria, gli inviti a non dimenticare, la Shoah in Italia è ancora, paradossalmente, una pagina poco conosciuta della nostra storia. Il settantesimo anniversario delle "leggi razziali" del 1938, prodromo dei tragici sviluppi italiani dell’Olocausto, induce a riconsiderare quelle vicende e ad aprire una nuova stagione storiografica su quegli eventi, sulle loro cause immediate e remote, e sulle loro conseguenze anche di lunga durata. È possibile che vi sia stato in anni recenti un eccesso di memoria; è probabile che questo passato sia stato e sia oggetto di usi pubblici e di strumentalizzazioni politiche, specie da parte di forze che devono riconfigurare, soprattutto rispetto a quelle vicende, il proprio passato.

D’altra parte – occorre dirlo – vi è stata e vi è ancora una carenza di storia. Sono numerosi, infatti, i capitoli della storia del razzismo e dell’antisemitismo italiani che attendono di essere riaperti e riconsiderati, in alcuni casi scritti per la prima volta, nonostante le pregevoli opere di studiosi che vanno da Renzo De Felice a Michele Sarfatti, da Meir Michaelis a Liliana Picciotto, passando per gli importanti contributi, tra gli altri, di Giorgio Fabre, Annalisa Capristo, Fabio Levi, Enzo Collotti e i suoi collaboratori. Consideriamo alcuni di questi capitoli.

L’Italia ha conosciuto una secolare tradizione di antigiudaismo cattolico. Se si voglia analizzare le vicende che attraverso il lungo Ottocento vedono gradualmente intrecciarsi quella tradizione con il sorgere in Europa di un moderno antisemitismo politico, basterà ad esempio sfogliare le annate degli ultimi due decenni del XIX secolo della «Civiltà cattolica». Si potrà così verificare l’attenzione che il periodico gesuita dedicava alla "questione ebraica" e il frequente emergere in quelle pagine del vocabolo "razza", assieme a orientamenti vicini all’antisemitismo razzista. Senza voler entrare nei dibattiti recenti attorno agli atteggiamenti dei pontefici Pio XI e Pio XII, è evidente che fino al Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica non rigettò sul piano teologico il suo tradizionale antigiudaismo e che mostrò, specie negli anni Trenta e Quaranta, atteggiamenti di connivenza con il fascismo anche rispetto alle politiche antiebraiche. Sappiamo questo dagli studi di Giovanni Miccoli e di altri, ma molto rimane da fare.

Anche la cultura italiana laica, il pensiero scientifico e la ricerca universitaria (hanno iniziato a documentarlo Roberto Maiocchi, Giorgio Israel e Piero Nastasi) non furono esenti da una tradizione di razzismo e di antisemitismo, che caratterizzarono del resto le discipline scientifiche e umanistiche in Europa tra fine Ottocento e primo Novecento. L’Italia poté contribuirvi offrendo sostegno culturale e ideologico alle imprese coloniali in Africa, a partire dagli anni 1880, attraverso diverse stagioni fino a quella etiopica: che portò infine alla celebrazione di un mito non solo imperiale, ma anche razziale (paragonabile negli anni Trenta a quello creato dall’alleato nazista), con leggi contro il meticciato e poi con le leggi razziste e antisemite del 1938.

Se consideriamo, infine, le vicende del 1943-45, gli anni dell’attuazione in Italia, durante l’occupazione tedesca e sotto il fascismo ricostituito, della cosiddetta «soluzione finale del problema ebraico»: quelle pagine sono certo conosciute nelle loro linee essenziali e in alcune vicende particolari, così come sono ormai registrati i nomi e le vicissitudini degli oltre ottomila ebrei uccisi tra l’Italia e i campi di sterminio dell’Europa orientale. Ma troppo presto si è iniziato a occuparsi quasi esclusivamente di coloro che salvarono i concittadini ebrei. Va detto, infatti, che manchiamo ancora di ricostruzioni dettagliate degli arresti e delle deportazioni e del ruolo specifico svolto in quelle vicende da decine, centinaia di italiani. Gli italiani, cioè, che andarono casa per casa, con o spesso senza l’alleato tedesco, a stanare, arrestare e deportare i propri concittadini ebrei (ormai da tempo cittadini segregati, e infine dichiarati "stranieri" e "nemici" dalla Rsi), avviandoli a morte certa.

Gli sviluppi della storiografia internazionale su guerra, razzismo, genocidio e Olocausto ci inducono oggi, dunque, da un lato a riconsiderare le vicende culturali, ideologiche e politiche di lunga durata, che poterono condurre, per vie diverse e inattese e in specifici contesti, a esiti di straordinaria violenza. Dall’altro ci spingono a indagare i rapporti congiunturali tra intimità e genocidio: quei momenti in cui il nemico e la vittima non vengono cercati oltre frontiera o in terre lontane e di conquista, ma all’interno della propria società, nelle vie della propria città, tra i vicini della porta accanto.

*University of California, Berkeley

1 L’opera «La Shoah in Italia», a cura di Marcello Flores, Simon Levis Sullam, Marie-Anne Matard Bonucci, Enzo Traverso (Utet) sarà al centro della Tavola rotonda prevista per venerdì 9 maggio (alle 15,30) alla Sala Gialla. Intervengono: David Bidussa, Anna Foa, Simon Levis Sullam, Luisa Passerini, Adriano Prosperi.

Modera: Riccardo Chiaberge.

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