
Salone del mobile, boom di ordini
Giulia Crivelli
MILANO
Il Salone del mobile, con i suoi 230mila metri quadrati, in 47 anni di vita è cresciuto fino a diventare una piccola città. Per l’edizione 2008, che si è chiusa lunedì, i padiglioni di Rho-Pero hanno ospitato 348mila persone, anche in questo caso un numero paragonabile a quello di un centro abitato di medie dimensioni, di cui a questo punto si può provare a stimare il Pil.
«C’è stato un tempo in cui per le aziende piccole e medie del mobile il Salone rappresentava fino al 50% dei ricavi dell’intero anno. Oggi siamo probabilmente al 30%, perché la tecnologia ha agevolato i contatti tra imprese e clienti e perché, in generale, ci si muove di più e quindi ci sono più occasioni per firmare ordini», spiega Rosario Messina, presidente del Cosmit (la società che organizza il Salone), nonché numero uno di Flou, leader nella produzione di letti di design. «Per le aziende più grandi possiamo stimare che oggi il Salone valga, direttamente, il 10-15% dei ricavi dell’anno. Poi però c’è tutta una parte di business indiretto che viene fatto nei sei giorni di fiera e che va dalla comunicazione alla nascita di nuovi contatti, che magari solo in un secondo tempo di tradurranno in ordini».
Considerando che nel 2007 il fatturato del settore italiano del legno-arredo ha sfiorato 40 miliardi di euro (in crescita del 4,5% sul 2006) e che la stragrande maggioranza dei 2.450 espositori del Salone sono italiani, si può stimare che in sei giorni l’isola felice del Salone del mobile produca un Pil – fatto di ordini – di circa 5 miliardi di euro.
Una stima confermata indirettamente dagli stranieri che a Milano sono venuti per comprare, come i proprietari di negozi e gli architetti che lavorano per i grandi costruttori internazionali. « Quest’anno sono rimasto particolarmente affascinato dalle cucine: le aziende italiane hanno avuto il coraggio di fare enormi investimenti in tecnologia, su cui si è innestato il design. Solo quello che vedo a Milano mi emoziona veramente e mi spinge a comprare», spiega Nasir Kassamali, che negli Stati Uniti possiede tre giganteschi negozi, due a Chicago e uno a Miami, e viene al Salone da 33 anni.
Kassamali ha passato sei giorni facendo la spola tra Rho-Pero e Zona Tortona, ma ieri si è concesso una gita sul lago di Como prima di tornare negli Stati Uniti. Impossibile sapere quanto ha "speso" al Salone, ma una cosa è certa: la maggior parte del suo budget annuale è destinato alle novità che vede a Milano. «Per me, e credo anche per i miei clienti, il design è una religione e solo quando vengo in Italia ho l’impressione di essere circondato da adepti dello stesso credo».
«Nonostante offra innumerevoli occasioni per socializzare e per divertirsi, il Salone è una fiera molto business oriented – conferma Paul Buckley, proprietario del Bedroom Studio, uno dei più grandi negozi di Dublino, specializzato nella zona notte –. La maggior parte dei marchi che vendo sono italiani: magari non compro tutto subito, ma gli acquisti dell’intero anno dipendono comunque da quello che vedo qui».
Interessante anche la posizione di Gilles Bonan, presidente del colosso francese Roche Bobois, che nel 2007 ha avuto un giro d’affari di 700 milioni di euro circa. «La nostra azienda cresce con lo strumento del franchising e per trovare nuovi partner essere al Salone con uno stand è fondamentale: qui c’è un pubblico internazionale, che viene in fiera non per guardare, ma per comprare. O comunque per sviluppare un business».
«La forza del Salone di Milano sta anche nel fatto che è l’unica fiera al mondo dove ci sono tutte le novità – spiega Roberto Gavazzi, amministratore delegato di Boffi –. Tanto che aziende di altri Paesi vengono qui a presentare le loro novità, come Panasonic, che ha scelto Milano come vetrina per i prodotti nuovi per la cucina e il bagno destinati al mercato giapponese, perché i più importanti architetti giapponesi vengono qui!».
Possibile che neanche il supereuro abbia spaventato i compratori? «La debolezza del dollaro e l’incertezza economica fortunatamente non ci hanno ancora toccato – risponde Giovanni Anzani, che insieme ai due cugini Aldo e Alberto Spinelli guida la Poliform –. La ragione principale a nostro avviso sta nel fatto che collocandoci in una fascia molto alta di mercato l’aumento del costo dei prodotti non incide sulle decisioni di acquisto dei nostri consumatori».