Rassegna stampa

Pitti Filati chiude con buyer in calo da Usa e Giappone

di Silvia Pieraccini

Il 2008 sarà un altro anno in salita per l’industria italiana dei filati, schiacciata dal peso del cambio euro-dollaro, che rende sempre più difficili le esportazioni, e dalla concorrenza dei Paesi emergenti. Il segnale positivo, che ha trovato conferma alla fiera fiorentina Pitti Filati che si è chiusa ieri, è la rinnovata attenzione a prodotti di alta qualità. «Dopo anni in cui i clienti chiedevano, prima di ogni altra cosa, il prezzo – dice Giuliano Coppini, presidente della toscana Lineapiù, 80 milioni di fatturato nel 2007 (-12%) e una ristrutturazione in atto che ha migliorato il risultato operativo – ora l’atteggiamento sta cambiando, e si riprende a cercare prodotti più qualificati, frutto di creatività e progettazione».

Lo dimostra la strategia di aziende come la biellese Zegna Baruffa, che si sta spostando verso lane più fini e prodotti di fascia alta e, dopo due anni di ristrutturazione, è tornata a fare «utili interessanti», seppur con un fatturato in calo (113 milioni nel 2007, in flessione dell’11%). «Abbiamo rifiutato ordini a prezzi non convenienti e li abbiamo lasciati al mercato cinese – spiega Paola Rossi, coordinatrice stile e marketing dell’azienda in mano ad Alfredo Botto Poala – con la conseguenza di ridurre i volumi, passati da 7,2 a 6,5 milioni di chilogrammi, e di innalzare la qualità. L’obiettivo adesso è proprio quello di concentrarsi su prodotti di livello più alto, e stiamo già raccogliendo i frutti di questa operazione».

La qualità del prodotto, del resto, è un ingrediente fondamentale delle aziende italiane che, in un mercato non certo brillante (-1,8% il fatturato 2007 dell’industria dei filati, -6% l’export, +2,3% l’import), stanno continuando a marciare, o addirittura a correre. Come la carpigiana Millefili-Bluring della famiglia Galli, che l’anno scorso ha accresciuto il fatturato del 21%, toccando i 43 milioni, e che quest’anno conta di salire ancora del 20-25%. «I tre elementi fondamentali per crescere – spiega Francesco Galli, amministratore dell’azienda che ha stabilimenti produttivi a Biella e Prato, e che realizza all’estero il 50% dei ricavi – sono qualità del prodotto, prezzo e servizio. Credo che la produzione made in Italy resti un prezioso biglietto da visita, anche se il mercato è in evoluzione e bisogna stare molto attenti a come ci si muove».

La preoccupazione più grossa tra gli stand di Pitti Filati (103 marchi di cui 24 stranieri) resta quella del dollaro debole. «È un cambio molto penalizzante – spiega Coppini, che sta chiudendo l’accordo per l’ingresso di una griffe della moda nel capitale di Lineapiù – visto che noi siamo costretti ad aumentare i listini del 10% all’anno, e rimanere competitivi diventa sempre più difficile. La nostra difesa è avere un’azienda in Cina, che quest’anno ha un budget di 9 milioni di euro rispetto ai due milioni fatturati nel 2007».

Altro elemento d’incertezza è l’assenza, alla fiera fiorentina, dei clienti giapponesi, e la contrazione di quelli americani. «Sono diminuiti i buyer americani e giapponesi – dice Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine – ma il segnale positivo di questa edizione, tradizionalmente più debole perché incentrata sulle collezioni primavera-estate, è il ritorno dei grandi gruppi della moda che erano andati a produrre in Cina. Sono convinto che sui filati di alta gamma le aziende italiane abbiano ancora molte carte da giocare».

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