Rassegna stampa

Vince il gioco di squadra

di Giorgio Costa
Lasciati liberi di crescere con poche regole e limiti, gli enti fieristici si sono sviluppati senza una direzione precisa, assecondando più i bisogni locali che le effettive necessità di spazi espositivi.
Questa abbuffata di spazi non tende a frenare. Tra gli ultimi ampliamenti messi in pista si segnala, per esempio, il rinnovo della fiera di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia (100mila visitatori all’anno legati essenzialmente all’agricoltura, all’elettronica e alla Fiera di san Giuseppe): costerà 9,2 milioni da spendere per creare una struttura che disterà meno di 15 km da Reggio (che ha già la sua fiera, in via di ampliamento), non più di una trentina da Modena (già dotata di quartiere fieristico), a meno di un’ora da Bologna e poco più di mezzora da Parma. Ma il Comune ci crede e ha messo in piedi un sistema per cui "scambia" la costruzione del nuovo polo con la possibilità di realizzare immobili nell’ex area fieristica. Così non si accorcia la lista dei soggetti che la rete emiliana – a cui sta lavorando la Regione, che entrerà nel capitale sociale di Bologna, Rimini e Parma – deve mettere a sistema.
Il sistema fieristico italiano è lo specchio di che cosa i "campanili" (enti locali, associazioni di categoria e Camere di commercio) possano produrre, se lasciati liberi di fare senza una adeguata politica nazionale e senza un coordinamento centrale tra gli enti fieristici (come per esempio accade in Germania). «E con un sistema di aiuti pubblici – spiega Duccio Campagnoli, coordinatore della materia fieristica per la Conferenza delle Regioni – che continua a non comprendere che le Fiere devono essere piattaforme del made in Italy all’estero assorbendo, in questo, molte funzioni dell’Ice».
Intanto, tra il 2000 e il 2006 la superficie espositiva nazionale lorda è passata da 2,35 a 3,4 milioni di metri quadrati, con un incremento di circa il 45 per cento. Non in egual misura sono aumentati i metri quadrati venduti, passati da un dato medio di biennio (1995-1996) di 3,47 milioni a una media di 4,37 milioni tra 2004 e 2005. Così come, tra 2000 e 2006, se si guarda al solo segmento delle fiere internazionali le manifestazioni sono in forte crescita (da 143 a 194), mentre i metri quadri affittati sono cresciuti solo da 4,1 a 4,6 milioni. I quartieri fieristici interessati hanno avuto un picco nel 2005 (40 contro i 32 del 2000) e sono poi scesi a 37 nel 2006.
Completamente diversa, per esempio, la politica tedesca che ha ridotto, tra 2000 e 2006, il numero di manifestazioni e di città sede e ha anche visto una perdita di metri quadrati (da 7,2 a 6,43 milioni).
Nel confronto con la Germania, leader europeo di settore, il punto di maggior distanza è però rappresentato dalle fiere certificate: quelle italiane sono solo il 10%, le tedesche oltre il 70 per cento.
A ben guardare i dati italiani, si vede come il sistema fieristico si stia strutturando – al di là dei numeri dei quartieri e del fatto che ben l’85% dell’attività si concentra tra Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – su tre livelli: il polo milanese, la rete fieristica legata ai grandi distretti produttivi (in Emilia-Romagna, Veneto, Liguria e Toscana), i quartieri del Centro-Sud (Roma, Napoli e Bari).
Di fronte a questa situazione, cioè a un’offerta fieristica che appare sovradimensionata rispetto alla domanda, molti accusano le Regioni di non aver saputo guidare il processo di sviluppo delle fiere. «Questa situazione – spiega Campagnoli – è figlia della trasformazione degli enti fieristici in società che, in quanto tali, stanno liberamente sul mercato. Dopo l’abolizione, nel 2003, della legge quadro nazionale e la contestuale sentenza Ue che ha di fatto impedito alle Regioni il controllo sul calendario fieristico, non c’è alcuna possibilità d’intervento di coordinamento».
Il problema riguarda da vicino anche il maggior player del Paese, vale a dire Fiera Milano (che a breve saprà se ospiterà o meno l’Expo 2015 che vale 3,2 miliardi solo per le infrastrutture) e la Lombardia. «Oggettivamente ci sono troppe fiere – spiega Franco Nicoli Cristiani, assessore regionale della Lombardia a Commercio, fiere e mercati – tanto che la Regione Lombardia ha scelto di non finanziare nuovi poli ma solo ampliamenti o ristrutturazioni dell’esistente».
Intanto la Lombardia deve ancora metabolizzare il nuovo quartiere milanese che si colloca al centro di un sistema espositivo che vede attive ben 23 strutture sul territorio regionale, con casi (Brescia) anche di due quartieri per provincia. «La strada obbligata – spiega ancora Nicoli Cristiani – resta quella della specializzazione con almeno un paio di eventi caratterizzanti, perché l’alternativa è avere strutture che lavorano pochi giorni all’anno: un lusso che non possiamo permetterci. Peraltro il nuovo quartiere milanese è ancora in attesa di opere, sia logistiche sia di servizio, che lo completino, ad esempio di strutture ricettive e di ospitalità a costo contenuto che facilitino la permanenza degli addetti ai servizi e collegati alle esposizioni».
Alla fine quel che serve, anche secondo Campagnoli, è una programmazione nazionale. «Purtroppo è l’unico antidoto al cannibalismo a cui stiamo assistendo. Da liberista – conclude l’assessore lombardo – lascerei che gli operatori si coordinassero, ma se non ci riescono deve intervenire lo Stato».
g.costa@ilsole24ore.com

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