
Quando c’erano le ciminiere
di Valerio Castronovo
Presidente della Fondazione del Museo dell’industria e del lavoro Come in altre parti d’Europa, anche in Italia l’espansione delle ciminiere dalle campagne ai borghi minori, alle grandi città, ha segnato la crescita del sistema economico e dato luogo a nuovi modi di lavorare e di produrre, ha ridisegnato il paesaggio e la configurazione sociale di diverse aree urbane e talora di intere regioni, ha contribuito a trasformare costumi, stili di vita e comportamenti collettivi.
Senonché mancava finora nel nostro Paese un’istituzione museale e culturale che rievocasse, attraverso una serie di testimonianze emblematiche, gli itinerari e le modalità che hanno man mano scandito, nel corso degli ultimi centocinquant’anni, il progressivo passaggio dell’Italia allo stadio di una società industriale avanzata.
Questa lacuna sarà adesso colmata dalla creazione in provincia di Brescia di un apposito museo in cui questo complesso percorso verrà ricostruito e illustrato sulla base di una vasta campionatura di reperti e materiali documentari riguardanti le attività e le esperienze più significative che si sono succedute nei diversi settori d’attività su scala nazionale.
Si giungerà così a tracciare un grande affresco delle vicende dell’industria e del lavoro in Italia, quali componenti fondamentali della storia del nostro Paese, dalla prima metà dell’Ottocento sino ai giorni nostri, dall’epoca della protoindustrializzazione agli sviluppi del sistema di fabbrica, dall’età del fordismo a quella odierna della rivoluzione informatica e del mercato globale.
È dunque un grande cantiere di lavoro per un progetto altrettanto impegnativo quanto ambizioso, quello che, a partire dal gennaio 2008, vedrà l’allestimento (per opera degli architetti Klaus Schuwerk e Jan Kleihues, vincitori del concorso internazionale) dei quattro poli espositivi del Museo dell’industria e del lavoro intitolato a Eugenio Battisti, un pioniere dell’archeologia industriale. Insieme alla sede centrale del Musil su un’area di 12mila mq (che ospitava a fine Ottocento una fabbrica metallurgica degli Orlando), sorgeranno la "città delle macchine" a Rodengo Saiano, il museo del ferro nell’antica fucina del comune di San Bartolomeo, il museo dell’energia idroelettrica nella centrale di Cedegolo in Val Camonica.
Quello di Brescia (che ha preso il via da un Accordo di programma fra Regione Lombardia, Provincia e Comune di Brescia) sarà perciò un museo-sistema, articolato sul territorio e dotato di adeguati servizi di supporto, allestito in base ai criteri metodologici ed espositivi più moderni. E sarà anche un polo interattivo, che comunicherà con l’esterno e che a tal fine organizzerà una serie di attività di studio e riflessione sulle vicende e sulle linee di tendenza dell’economia industriale e post-industriale. La Fondazione che gestirà il Museo intende infatti dialogare sia con il mondo della ricerca e della scuola, sia con le istituzioni rappresentative del mondo della produzione e del lavoro. Si tratta pertanto di un museo unico nel suo genere, non solo in Italia ma anche in Europa.
Di fatto, il suo patrimonio è costituito da migliaia di reperti e materiali d’ogni genere raccolti nel Bresciano dalla Fondazione Micheletti e dalla Fondazione Civiltà bresciana, integrati da un repertorio di vari cimeli e macchinari provenienti da alcune delle principali imprese operanti in altre zone d’Italia (come Fiat, Tosi, Ansaldo, Enel, Riva e altre ancora). Come è noto, la Lombardia è stata il cardine e l’epicentro del nostro processo di industrializzazione; e il Bresciano costituisce tuttora un’area polisettoriale per la presenza di attività diverse, dal tessile alla meccanica, dalla siderurgia all’impiantistica. Inoltre il distretto bresciano è un luogo emblematico nella mappa geo-economica del nostro Paese, situato com’è fra il Nord-ovest, che ha dato i natali tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento all’industria italiana, e il Nord-est dove è fiorita negli ultimi trenta-quaranta anni una vasta costellazione di piccole-medie imprese.
Per avere un’idea del Museo che si sta realizzando a Brescia, basti pensare che esso comprenderà migliaia di materiali consistenti in impianti, macchinari, prodotti, pezzi originali o ricostruiti, ma anche una ricca serie di disegni tecnici, progetti, prototipi, modelli di laboratorio. Inoltre conterà una biblioteca con migliaia di volumi sulla storia della tecnica e della ricerca applicata, sulle vicende di singole imprese, sui differenti aspetti dell’economia industriale e dei servizi, sulle culture materiali e del lavoro; una emeroteca che raccoglie centinaia di riviste specializzate; una fototeca storica con 40mila immagini, e una raccolta di 6mila manifesti d’epoca, nonché numerosi filmati industriali, alcuni dei quali firmati da registi come Ermanno Olmi, Michelangelo Antonioni e Gillo Pontecorvo.
In pratica il Museo avrà la configurazione di un vero e proprio "science center", che agirà in modo da trasformare il patrimonio documentario di cui dispone in una valida risorsa culturale.
La conoscenza del passato è infatti una condizione indispensabile per capire il presente e costruire il futuro. D’altra parte, l’evoluzione di una moderna democrazia industriale non è legata soltanto ai progressi del sistema produttivo e a un’equa distribuzione delle risorse, ma dipende anche dal radicamento di un’autentica cultura del lavoro e dell’innovazione quale espressione di principi e di valori sociali ampiamente condivisi. Perciò, la documentazione e la ricerca storica possono dare un apporto prezioso alla maturazione e alla diffusione di questi orientamenti che coinvolgono tanto i sentimenti di appartenenza alla società in cui viviamo quanto le identità e le esperienze individuali.
Anche per questo la Fondazione s’impegnerà a promuovere un’opera di sensibilizzazione che valga a coinvolgere innanzitutto un pubblico giovanile. Da un lato, occorre infatti che i giovani vengano resi edotti e consapevoli di quanti e quali sforzi siano costati a cinque generazioni di italiani per trasformare la Penisola in uno dei Paesi più avanzati a livello internazionale. Dall’altro, è bene che essi comprendano quanto sia essenziale l’acquisizione di cognizioni e competenze innovative e qualificate tanto per le loro chanches di autorealizzazione nel mondo del lavoro quanto per la sorte stessa del nostro Paese, per la possibilità che l’Italia mantenga la posizione raggiunta finora sulle frontiere dello sviluppo e della modernizzazione.
Il museo si fa in quattro