Rassegna stampa

Bibliomania dell’assurdo

di Stefano Salis

State per andare a Torino per la Fiera del libro? Vi solletica l’idea di fare l’annuale scorpacciata di centinaia di editori, migliaia di titoli, milioni di parole che si accumulano e per le quali, evidentemente, non c’è freno ma, d’altra parte, vi piacciono troppo i libri per non esserne sempre curiosi? Bene. Fatelo pure. Andateci, sfogliate i libri, compulsateli, annusateli, comprateli. Fidatevi oppure diffidate. Non abbiate paura di dichiarare il vostro amore per il libro. Ma nemmeno il vostro odio, almeno se è a fin di bene. E, se non potete andare a Torino, andate pure nella vostra libreria preferita. Tanto la vertigine da eccesso, in fin dei conti, sarà la medesima. Troppi libri, troppi autori, troppi editori, troppe pagine. Troppo di tutto.

Ebbene: i libri non sono mai troppi, chiariamolo una volta per tutte. E il confine – visto che sarà questo il tema portante della Fiera – tra ciò che rende indispensabile l’esistenza sotto forma di pubblicazione di un mucchio di pagine o ciò che le condanna all’eterna inutilità è una linea sottile: spesso l’uso che ne intendiamo fare noi lettori. Per chi altri sono fatti, in fondo, i libri? Insieme ai libri esistono le possibilità di comportamento nei loro confronti. I libri ci ossessionano, c’è poco da fare.

Luciano di Samosata se la prendeva – e quanto faceva bene! – contro il Bibliomane ignorante (la sua invettiva è appena stata ripubblicata da Archinto, pagg. 64, € 10,00). «Tu credi di poter sembrare un uomo colto facendo prontamente incetta dei libri migliori, ma questo tuo zelo ti danneggia e diventa in un certo senso la prova della tua ignoranza». «Se acquistare libri rendesse colto chi li possiede, possederli sarebbe cosa preziosissima e sarebbe riservata solo a voi ricchi…». E via concionando: se l’autore greco potesse vedere un moderno salotto letterario, per molti versi non troverebbe invecchiato il suo pamphlet. Intendiamoci: meglio un bibliomane, ignorante quanto si voglia, che un biblioclasta, un distruttore di libri. E già. Perché se c’è una costante nella storia dell’editoria (ovvero, nella storia umana) questa è la lotta contro i libri. Lo ricorda Marino Sinibaldi, nella sua attenta prefazione, a un ottimo volume (cercatelo, tra le novità) di Fernando Báez: Storia universale della distruzione dei libri (Viella, pagg. 386, € 25,00).

Dall’Iraq si parte, con la distruzione delle tavolette sumere, all’Iraq si ritorna, con la guerra in corso che, tra le tante vittime, non a caso ha fatto la Biblioteca di Baghdad. Di roghi di libri si era occupato, da par suo Leo S. Olschki. Il suo smilzo ma interessante saggio è riedito ora in un librino delizioso curato da Paolo Albani, che contiene, in apertura, uno spassoso saggio di Giuseppe Fumagalli: Biblioteche immaginarie e roghi di libri (Palladino editore, pagg. 160, € 12,00).

E se pensate che i "libri immaginari" siano una perversione (ebbene sì: lo sono e ne siamo affetti…) consolatevi con la novità più divertente dell’anno, dico per chi è innamorato dei libri ma sa anche riderne, quando ci vuole.

Si tratta di un’antologia strepitosa che Castelvecchi manderà in libreria la prossima settimana. L’hanno compilata Russell Ash e Brian Lake. Titolo: I libri più assurdi del mondo (con una prefazione, ottima, di Emanuele Trevi). Premessa: sono tutti libri veri, realmente apparsi, posseduti dai compilatori o documentati da schede bibliografiche (i due sono antiquari, non a caso), spesso segnalati agli autori da zelanti e velenosissimi lettori.

Sono tutti libri inglesi (peccato) e in molti dei casi selezionati i giochi di parole, la comicità involontaria e i doppi sensi funzionano bene nell’originale e in traduzione si perdono. Ma quando è l’oggetto del libro a essere irresistibile, siamo nel campo del surreale puro.

Vado a casaccio, mischiando generi e tipi di comicità. Manuale per chi è privo di braccia (crudele ironia, in inglese ma anche in italiano, la parola «Handbook»); Invisible Dick (romanzo di Frank Tophan, 1926: in inglese «dick» è il membro maschile; sarà l’unico esempio che cito dei molti di carattere sessuale); un ambizioso Organizzare la devianza (!!) (1982, Prentice Hall editore); Consumo efficace delle candele di Raymond Buckland (1970, in tempi di austerity non si sa mai); L’effetto dell’umidità relativa su una cinghia di cuoio conciata al tannino di quercia (1915; e certo, al tannino di quercia è tutto un altro effetto); il Who’s Who nel campo del filo spinato (compresi i nomi e gli indirizzi dei collezionisti di filo spinato in attività); una Storia sociale della mitragliatrice che fa il paio con Costruirsi una mitragliatrice.

A pochi anni dall’affondamento del Titanic vede la luce il fondamentale trattato Come salvare una grande nave in pericolo di affondare, anche se è stata bombardata (il Titanic è in copertina, mah). Stanchi della solita science fiction? Ecco un’eccezionale raccolta di Racconti di fantascienza di femministe lesbiche (Onlywomen Press, 1985). Qualche incertezza grammaticale? Provvedete con L’uso del punto nella paleografia semitica. Il trombone nel Medioevo e nel Rinascimento (1928) necessita ovviamente di un aggiornamento, non mancando tromboni anche oggidì; mentre Il metodo di autodifesa con il bastone da passeggio ha fatto il suo tempo, purtroppo; regge bene, invece, Tecniche di difesa con uso di lampade tascabili (1983).

Fantastico è Le storpiature corrette di alcuni nomi della Carolina del Sud (1984); da consigliare al vostro amico scrittore Come scrivere durante il sonno; imperdibile la Bibliografia della ricerca sulle mangrovie, sfortunatamente ferma al 1981. Da meditare i Proverbi della Guiana britannica (n. 772 «Fatto rum, fatto divertimento», la sanno lunga nella Guiana britannica), da tenere a portata di mano se non siete già esperti, invece, La valutazione dei suini per principianti, di interesse non specialistico Vita domestica e condizioni economiche del cormorano dal doppio ciuffo (1936).

Ma in assoluto, i titoli che preferisco sono: Pesci che rispondono al telefono (giuro!) di Yuri Petrovich Frolov (Trubner, 1937, con tanto di illustrazione riprodotta) e il geniale – non c’è altro modo di definirlo – Cosa dire quando si parla da soli di Shad Helmstetter (1982).

Il che dimostra, inequivocabilmente, quanto abbiamo bisogno dei libri. Perché non c’è nulla di più folle (e di più umano, dunque) che pensare, progettare, scrivere e leggere libri. E non c’è nulla che un libro non possa dire. Persino cosa dovreste dirvi, tra voi e voi…, cari lettori.

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