Rassegna stampa

Puntare sulla Libia per infrastrutture, energia e turismo

Gerardo Pelosi

TRIPOLI

«E pensare che c’è stato qualcuno che ha parlato di rottura diplomatica tra Italia e Libia solo perché l’ambasciata della Jamahirja a Roma è stata chiusa per alcuni lavori durati un po’ troppo; però, se devo giudicare dal livello dell’accoglienza che mi è stato riservato, il clima dei rapporti tra i due Paesi mi sembra eccellente». Mario Agostini, sottosegretario al Commercio internazionale, smentisce da Tripoli (insieme all’ambasciatore italiano Francesco Trupiano), una "rottura silenziosa" dei rapporti tra Italia e Libia per la contemporanea chiusura dell’ambasciata a Roma per lavori e la chiusura dei consolati di Milano e Palermo nel quadro di una ristrutturazione delle rete consolare in Europa.

Agostini ha preso parte, ieri, all’inaugurazione della Fiera internazionale di Tripoli dedicata alle piccole e medie imprese dopo avere incontrato il ministro dell’Economia, Abdulaziz Al-Isawi e quello dell’Industria e dei minerali, Yousef Zekri. Dai colloqui è emerso l’interesse libico ad attirare nuovi investimenti italiani, non solo nel settore petrolifero ma anche in quello delle infrastrutture, dell’agroalimentare e del turismo.

«Certo – aggiunge Agostini – conosciamo tutti i problemi legati al contenzioso bilaterale quali il grande gesto (la strada costiera fino al confine tunisino come riparazione dei danni del periodo coloniale), gli insoluti dei pagamenti alle imprese italiane e la questione dei visti, ma si tratta di problemi che hanno ormai sedi di discussione appropriata a livello politico. Sul piano commerciale, invece, i rapporti evolvono positivamente: siamo il primo partner commerciale della Libia e tra il ’97 e il 2006 il valore delle esportazioni è cresciuto del 58,1%, raggiungendo quota 1,4 miliardi l’anno passato».

Da parte italiana si è posto l’accento sulla necessità di poter competere ad armi pari con le aziende degli altri Paesi occidentali, risolvendo una volta per tutte l’annoso problema dell’Ali, la società mista che avrebbe dovuto gestire un fondo per finalità sociali a favore della popolazione libica alimentato con i contributi versati da quelle aziende che si fossero aggiudicate appalti in Libia. Ma quello che è diventato nel tempo uno dei frutti più avvelenati dell’accordo italo-libico del 4 luglio ’98 rischia ora di rappresentare un pesante handicap per la piena operatività delle aziende italiane. Nello stesso tempo, la delegazione guidata da Agostini ha chiesto una semplificazione nella procedura della cosiddetta doppia registrazione delle aziende italiane che, per operare nel Paese, devono essere iscritte in due registri, uno presso il ministero dell’Economia e l’altro presso l’ufficio del primo ministro.

Piena disponibilità è stata invece manifestata dal Governo italiano a collaborare con i progetti per lo sviluppo di piccole e medie imprese. «In particolare – ha precisato Agostini – abbiamo concordato la creazione di un gruppo di lavoro che metterà a punto i dettagli della collaborazione per garantire una formazione su management, finanziamenti e ricerca fidi, e illustrazione dei distretti italiani. Al progetto collaboreranno la Simest italiana, che ha già sostenuto dodici imprese italiane che hanno investito in Libia, e l’omologa agenzia libica».

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