
Buon glamour fatto in casa
di Angela Vettese
Si è aperta con bello sfregio a un’opera irrestaurabile di Carla Accardi la Fiera d’arte di Bologna, il primo atto vandalico in trentuno edizioni. Segno perverso che l’attenzione resta viva e anzi cresce per questo appuntamento di inizio anno, il primo nella cavalcata di fiere che puntella l’annata, da Art Basel ad Art Cologne, le veterane, ad Arco a Madrid, Art Forum a Berlino, Frieze a Londra, Miami Art Basel e mille altri tentativi di imitazione dello schema vincente: una fiera maggiore, una controfiera, mostre-mercato satelliti in città e moltissime attività collaterali offerte dalle gallerie.
Il mercato è ancora assai grasso (per quanto?) e quindi c’è posto per tutti. Ma vista l’aggressività delle rivali nel mondo, c’è da chiedersi se ce la farà a sopravvivere la fiera più visitata in Italia, quella sempre snobbata perché poco posizionata sull’avanguardia e molto buona anche con gallerie non solo trendy.
Perché è l’unica davvero radicata nel territorio italiano; giovedì l’hanno aperta Cofferati e Luca Cordero di Montezemolo, segno di una protezione politica decisa. È l’unica in Italia che ritiene che «Art comes first», come recita la campagna di quest’anno.
È pur vero che per far parte del carrozzone internazionale, quello che davvero fa testo in termini di prezzi e tendenze, le manca quello che manca a tutte le fiere italiane e cioè un contesto importante. Persino Miart a Milano attira poco i visitatori stranieri perché l’intorno della città non seduce con mostre d’alto livello. Ed è una cosa necessaria, dal momento che chi ha il portafoglio pieno ha anche il tempo contato e seleziona ferocemente i suoi impegni.
Il discorso cambia un poco per Artissima, che vive anche di una Torino affezionata all’arte contemporanea e illuminata da «luci d’artista» oltre che da mostre rilevanti, ben curate, spendibili anche con i collezionisti più esigenti in musei e fondazioni che hanno saputo darsi un buon glamour.
E glamour oggi è una parola importante, quella che deve essere aggiunta a ogni iniziativa del settore: Madonna, Sting, Yoko Ono sono collezionisti d’arte raffinati. E anche alcuni nostri calciatori, educati da galleristi che in vent’anni hanno condotto per mano loro e le loro mogli veline all’ingresso del tempio. Proprio per questo, adesso inizia a esserci bisogno del glam, delle feste, di quel tocco di stupidità così lontano dal l’atmosfera monacale dell’arte anni Settanta. L’Italia a questo non ci arriva, manca di effetti speciali che valgano il viaggio per i visitatori così come per i galleristi stranieri.
Proprio per via del glamour, del resto, ora si pensa di creare una fiera a Venezia: si dice al Tronchetto e dunque in zona raggiungibile dalle macchine, ma potrebbe anche essere a quella Punta della Dogana che i risultati della gara di lunedì non hanno saputo scegliere a chi dare (in lizza Guggenheim e Pinault). L’idea è che durante la Biennale il pubblico internazionale arriva sempre in massa. Forse un appuntamento veneziano, fatti salvi gli ostacoli dell’acqua, potrebbe spuntarla. Forse no, perché il denaro necessario allo start up di questo tipo di manifestazioni è moltissimo e non si vede da dove potrebbe venir fuori.
Ma siccome uno il glam se lo crea come può, forse la formula più genuina è non forzare la natura del luogo ma usarla tutta. A Bologna va benissimo tutta la mitologia dell’Emilia alimentare e gaudente. Va meglio ancora il mondo dei giovani ex Dams, intrippati dal computer, persi nella rete, appiccicati al monitor nell’atto di downloadare immagini e programmi per la loro elaborazione.
C’è qualcosa di casereccio anche nei programmi culturali di ArteFiera che diventa in una girandola di nomi Art First e quant’altro fa inglese, ma che alla fine si traduce in discussioni con artisti e critici (Achille Bonito Oliva chiama artisti a intervistare vari personaggi), e ancora registrazioni di Ram (Radio Arte Mobile, che da qualche anno segue e registra gli eventi artistici più interessanti) e ancora l’inaugurazione di uno spazio-foresteria all’ex pensione Fiorentini, inserita in un itinerario in città che lega i luoghi sacri al turismo e le nuove proposte.
Intorno ci sono il Premio Furla per giovani artisti italiani, la mostra Giovane Italia curata da Renato Barilli sempre di artisti giovani italiani, una cineteca, una riflessione sulla civiltà industriale alla Gam a cura del direttore Maraniello, una notte bianca con l’apertura di tutte le gallerie, un’immersione nell’arte digitale nei luoghi off della città, e ancora interventi speciali di artisti singoli in luoghi "contaminati": dal museo della musica a quello archeologico alla gipsoteca.
Niente che parli davvero una lingua globale, malgrado l’ostentazione del «Benvenuto Welcome» all’entrata della fiera stessa, ma tutto perfettamente adatto a un grosso pubblico italiano: alla fine dicono quanto serve, infatti, i quarantamila visitatori in pochi giorni e, negli stand, una scarsissima dose di invenduto dai Fontana ai Lodola, dalle tendenze classiche all’emergente. Avere di più, in Italia, sarà davvero una sfida.