Rassegna stampa

Il pressing della Ue ha spinto il settore verso la modernità

L’articolo pubblicato sul Sole-24 Ore del 21 dicembre 2005 (intitolato: «Fiere – Si chiude il confronto Italia-Ue») dà risalto alla conclusione positiva del procedimento comunitario sulle fiere riguardante il nostro Paese. Finalmente! Per una volta, infatti, si parla non di un parere motivato o di un ricorso contro l’Italia ma della soluzione conseguita, quasi a riscoperta di quella che è l’autentica vocazione delle infrazioni comunitarie.

Si dirà che dieci anni (tanto c’è voluto per l’archiviazione del dossier) sono tanti. È infatti del 1995 la prima messa in mora della Commissione all’Italia per la sua normativa dell’epoca (risalente fino agli anni ’30), da cui è in seguito scaturita la sentenza di condanna del 2002 (causa C-439/99).

È innegabile; però vanno anche ricordati altri aspetti non meno rilevanti.

Anzitutto, questa procedura contro l’Italia è stata la prima in assoluto in diritto comunitario che ha applicato al settore delle fiere la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, aprendo così la strada alla comunicazione della Commissione del 1998 e ad una giurisprudenza ormai consolidata della Corte (va citata anche la causa C-223/99) che, proprio su queste basi, hanno esplicitamente sancito il diritto di organizzare fiere a livello transfrontaliero nell’Ue.

A prescindere poi dalla riforma in senso federalista del Titolo V della Costituzione nel 2001, che ha nel frattempo trasferito alle Regioni le competenze legislative in materia, aumentando così il numero delle parti in causa, resta che il dossier italiano si è rivelato particolarmente complesso nel merito. Guardando a ritroso, l’infrazione ha infatti permesso di rimuovere un coacervo stupefacente di vincoli che gravavano sui soggetti organizzatori di fiere ancora fino a poco tempo fa: obbligo di sede o di iscrizione in un registro ufficiale a livello nazionale o locale, forma sociale imposta (enti pubblici o associazioni private), assenza di scopo di lucro, obbligo di esercizio esclusivo dell’attività di organizzatore fieristico, conformità agli obiettivi di programmazione regionale, impossibilità di svolgere fiere a carattere non periodico o non iscritte nel calendario ufficiale (definito due anni prima), intervento di autorità pubbliche nella designazione degli organi fieristici, presenza obbligatoria tra i fondatori o i soci di almeno un ente territoriale locale, intervento di operatori già presenti sul mercato ai fini dell’autorizzazione o del riconoscimento del soggetto organizzatore.

Non è insomma pura coincidenza se questo settore economico di punta per l’Italia abbia conosciuto una svolta in termini di modernizzazione legislativa e di snellimento amministrativo proprio in occasione e a seguito della procedura comunitaria, rispondendo ad una precisa richiesta degli addetti ai lavori, come riportato nell’articolo citato. Ora, per esempio, ad infrazione chiusa, le nuove discipline regionali, adottate anche negli ultimi mesi, prevedono una semplice procedura di comunicazione preventiva (e non più di autorizzazione) delle manifestazioni espositive, con silenzio assenso nei due mesi.

Infine, se è vero che la sentenza e i risultati della procedura appena conclusa riguardano formalmente solo le cinque regioni (Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia, Friuli, Veneto) e la provincia autonoma (Trento) coinvolte e che quindi gli operatori comunitari che volessero operare in questi territori non potrebbero più essere sottoposti ai vincoli elencati, è altresì indubbio che, reciprocamente, gli operatori insediati in queste regioni hanno un equivalente diritto a non essere ostacolati da obblighi identici o simili nell’organizzare fiere in tutte le altre regioni italiane non implicate nell’infrazione e, beninteso, in ogni altro Paese dell’Ue (anzi, idealmente, quegli stessi principi giuridici dovrebbero pure valere in altri settori economici).

L’auspicio è che, per realizzare questo obiettivo di semplificazione normativa ed amministrativa su scala europea e non solo nazionale o regionale, si possa procedere non frammentariamente, con procedure d’infrazione contro singoli paesi, ma in modo organico e generale. Lo strumento per agire in tal senso sarebbe già bell’e pronto: la proposta di direttiva sui servizi. La serie di snellimenti burocratici e di divieti (di discriminazione, di previo stabilimento in loco, ecc.) da essa contemplata in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, destinata ad applicarsi a (quasi) tutti i settori economici, tra cui beninteso le fiere, è infatti largamente ispirata anche all’esperienza del dossier italiano appena archiviato.

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