
Le Fiere vanno in ordine sparso
Ora che il tassello degli investimenti infrastrutturali è andato al suo posto (si veda l’articolo sotto), il sistema fieristico toscano si prepara ad affrontare una nuova pratica, altrettanto strategica per accrescere la competitività su un mercato sempre più agguerrito: quella del coordinamento tra le attività dei tre poli espositivi pubblici di Firenze, Carrara e Arezzo, oggi assai blando e lasciato alla buona volontà dei vertici delle società fieristiche. Il risultato è che – nonostante un protocollo d’intenti firmato nel 2001 – ciascuno decide in proprio quando fare una fiera, su cosa farla, come promuoverla. Al punto da spingere la Regione che, grazie alle ricapitalizzazioni in atto, si appresta a diventare socio “forte” di tutte e tre le aziende fieristiche, a scendere in campo per mettere ordine.
«Su questo fronte è assolutamente necessario un salto di qualità – dice Susanna Cenni, assessore toscano al Turismo -. Nel momento in cui le grandi fiere stringono alleanze e accordi internazionali per farsi largo sul mercato, la Toscana deve fare sistema e migliorare il coordinamento tra gli eventi». Le sovrapposizioni (per esempio quella tra la fiera fiorentina Madia di enogastronomia e la rassegna aretina Agri&Tour) non devono ripetersi, lascia intendere l’assessore. «Iniziative distinte legate alla stessa filiera rischiano di dare messaggi frammentati. Dobbiamo lavorare sulla gestione comune di eventi, sul coordinamento delle iniziative di marketing, sulla promozione congiunta all’estero».
La strada passerà per una revisione del protocollo d’intenti firmato dalle società fieristiche nel 2001, ormai rimasto lettera morta. «Quel protocollo era troppo rigido – dice Pietro Marchini, amministratore delegato di Firenze Fiera – ma è certo che dovremo coordinarci di più sulla promozione all’estero del sistema fieristico toscano e anche sul territorio, per trovare più sinergie possibili». Gli fanno eco le fiere di Carrara e Arezzo: «Dobbiamo avviare iniziative comuni per promuovere la toscanità – dice Franco Fani, direttore del Centro Affari di Arezzo – anche attraverso eventi culturali da abbinare a iniziative per gli operatori».
Ma i buoni propositi delle fiere toscane rischiano di scontrarsi con le ambizioni di ciascuna: Firenze Fiera (17,9 milioni di fatturato 2003 con una perdita di un milione) punta a diventare un polo internazionale qualificato nei settori della moda, dell’artigianato, delle nuove tecnologie e dell’enogastronomia, ma guarda con attenzione anche al restauro conservativo e al settore museale; Carrara Fiere (sei milioni di fatturato 2003 e una previsione di pareggio) vuol presidiare il settore marmo e una serie di nicchie collegate al territorio, dalle tecnologie nautiche al sistema di balneazione, fino a derboristeria, termalismo e turismo itinerante; Arezzo (4 milioni di ricavi e un utile lordo di 60mila euro realizzati dal Centro promozioni e servizi, società pubblico-privata che gestisce gli spazi espositivi del Centro Affari) scommette su oro, agriturismo e merchandising museale. E non è finita. All’orizzonte sgomitano altre realtà desiderose di avere il “loro” polo espositivo: da Grosseto a Lucca – dove l’iniziativa parte da enti pubblici e Camere di commercio – fino a Montecatini e Prato (si vedano anche i box a lato), dove invece si stanno muovendo i privati. »Spazi sul mercato non ce ne sono, già fatichiamo noi – dice Paris Mazzanti, direttore di Carrara Fiere – Non credo ci siano prospettive per altri poli fieristici toscani, se non rivolti a iniziative strettamente locali.
Il problema. Il sistema espositivo toscano soffre di mancanza di coordinamento. I tre poli – Firenze, Carrara e Arezzo – decidono la loro programmazione ciascuno in modo indipendente e senza alcun raccordo con gli altri due. Per questo la Regione Toscana, che da qui al 2005 ha stanziato 80 milioni e che si appresta a rafforzare la propria quota di capitale in tutte le aziende fieristiche, ha deciso di scendere in campo.