Rassegna stampa

Bologna, Fiera delle alleanze

Il sistema fieristico regionale gioca la partita decisiva del riassetto. Con il maggior numero di Fiere tra le regioni italiane – in totale 11 – e tre quartieri (Bologna, Rimini e Parma) tra i primi cinque in Italia, il sistema emiliano-romagnolo esprime una potenzialità di tutto rilievo che trarrà nuova linfa dalla privatizzazione in corso e dal vento di alleanze che spira tra Bologna (che già controlla Modena e Ferrara) e Rimini, guardando con sempre maggiore interesse a Roma; anche perché la fiera della capitale vede come socio Alfredo Cazzola che siede anche tra i big di Bologna Fiere.
Protagonisti principali del “gioco” sono senz’altro Bologna e Rimini. Bologna, lunedì scorso, ha ufficializzato i nomi dei nuovi soci (oltre a Cazzola, Unipol, Camst, Fondazione Cassa di risparmio di Bologna e di Imola, Industriali di Modena) e la quota dei privati raggiungerà così il 57 per cento. Processo di privatizzazione avviato anche a Rimini dove la quota ceduta da enti locali e Cdc sfiora il 20 per cento.

Sulla base delle azioni cedute e del loro prezzo, la valorizzazione di Bologna risulta pari a 127 milioni mentre quella di Rimini sfiora i 140 milioni. Proprio sulla questione dei “valori”, si registrano le prime difficoltà nel dialogo, pure buono, tra Bologna e Rimini. «É chiaro – spiega l’amministratore delegato di Bologna Fiere Luigi Mastrobuono – che serviranno valori di riferimento più omogenei che considerino asset tra loro direttamente confrontabili. Ma la questione delle alleanze tra Rimini e Bologna deve tener conto dell’assetto privato di Bologna e che l’eventuale integrazione potrà avvenire non mettendo insieme i quartieri, cioè gli immobili, bensì l’organizzazione e la gestione degli eventi».
Su questo, ma anche su altro, si sta lavorando. A partire dalla collaborazione all’estero (gara unitaria per gestire il quartiere di Budapest e altri in Oriente) e da nuovi servizi comuni tipo la biglietteria elettronica. Con l’obiettivo anche di collegamenti ferroviari veloci tra le due città per facilitare lo svolgimento di fiere in contemporanea. Ma è chiaro che a livelli superiori di collaborazione la questione tocca le strategie e la prudenza di Bologna si sposa con il realismo di Rimini. «Sono convinto – spiega il presidente di Fiera Rimini Lorenzo Cagnoni – che la nostra collaborazione debba diventare strategica e assumere forme più strutturate di quelle attuali sino a spingersi alla gestione unitaria dei quartieri. Credo anche che eventuali scambi azionari non turberebbero gli equilibri di nessuno e, soprattutto, non si può dire che Rimini “è cara”. Il prezzo lo fanno advisor e mercato che sottoscrive». Intanto Bologna ragiona in termini di alleanze a tutto tondo, sia in regione sia fuori. «Troppe fiere sono ancora in mano pubblica e il pubblico ripiana deficit consistenti. Quando tutto ciò finirà – spiega Mastrobuono – il mondo fieristico dovrà riorganizzarsi e Bologna potrà giocare le sue carte come punto di aggregazione. Certo è che oggi la domanda fieristica non aumenterà quanto gli spazi a disposizione e occorre molta innovazione sia per catturare la domanda esistente sia per generarne di nuova».
Intanto la privatizzazione delle altre Fiere regionali va a rilento. Sebbene trasformati in Spa, i quartieri regionali sono tuttavia ancora saldamente in mano pubblica. E se Rimini punta alla Borsa dopo il 2006, Parma ha in vendita solo il 10% e si specializza sempre più, come spiega il direttore generale delegato Tommaso Altieri, nel settore alimentare. «Cibus – spiega Altieri – è già tutto venduto da otto mesi e la lista di attesa è di qualche migliaio di metri. E poi, il fatto di essere pubblici non ci impedisce ogni anno di fare utili significativi». Anche Reggio per ora resta pubblica al 65% (il resto è in mano a 12 associazioni di categoria) e, spiega il consigliere delegato Andrea Margini, «il nostro settore principe resta quello della zootecnica, “Suinicola” in testa, che è una rassegna di rilievo europeo. Per il resto – continua – l’orizzonte è quello interprovinciale nei settori della casa, dell’arredo e del tempo libero». Piacenza, pubblica al 90%, ipotizza tempi lunghi per la privatizzazione e intanto – spiega il presidente Silvio Bisotti – cerchiamo di valorizzare le due rassegne internazionali su bottoni e accessori e la meccanica legata all’estrazione dei fluidi. Senza trascurare la trasformazione alimentare».
Modena e Ferrara, entrambe controllate da Fiera Bologna, puntano a una crescita in ambito regionale. «Abbiamo rassegne generiche, come le Fiere antiquarie, e saloni specializzati come per l’ambiente e il lavoro – spiega l’amministratore delegato di ModenaFiere Sergio Garuti – ma stiamo pensando a nuove rassegne nel settore biomedicale e alimentare». Mentre a Ferrara, annuncia il presidente Nicola Zanardi, «vogliamo diventare i migliori tra i piccoli, con rassegne nei settori dell’informatica, dell’e-learning e del trasferimento tecnologico».
In cerca di un rapporto sempre più stretto con Bologna anche Fiera Forlì (privata al 20%) che, come spiega il presidente Stelio De Carolis, punta a mantenere la leadership europea nel settore avicolo e progetta nuove iniziative nel settore delle auto d’epoca. Si concentra, invece, su ceramica, agricoltura e agroalimentare il quartiere di Faenza, cosi come accade a Cesena. «Stiamo adeguando la struttura con nuove sale convegni e arai condizionata – spiega Domenico Scarpellini, presidente di AgriCesena, privata al 40% senza cambiamenti a breve – mentre nel 2005 interverremo su viabilità e parcheggi. Naturalmente punteremo tutto su ortofrutta e promozione del prodotto italiano».

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