Rassegna stampa

“Arco” con le solite frecce

Il cochebomba non ha cambiato niente. Alle sette di mercoledì sera, meno di dieci ore dopo l’attentato al principale ingresso della Fiera di Madrid, come previsto il Re di Spagna e il presidente del Messico hanno inaugurato “Arco”. É la mostra mercato d’arte contemporanea più affollata del mondo, con i suoi circa 200mila visitatori per 289 gallerie. I dibattiti con curatori, artisti e collezionisti ne hanno fatto negli anni un appuntamento trendy per ogni categoria legata alla sperimentazione artistica, compresi i critici più impegnati.

La televisione la ribadito per tutto il giorno che l’arte non si farà toccare dal terrorismo. La posta in gioco è troppo alta: la città gronda di manifesti in cui si dice che è pronta a ospitare i giochi olimpici del 2012 e nulla deve metterlo in dubbio. Arte e sport sono due veicoli formidabili dell’immagine di una Spagna pienamente democratica; non è un caso che abbia allevato in vent’anni i curatori più “à la page”, se si considera che vengono da lì anche il direttore della Tate Modern di Londra Vicente Todoli le due curadore della prossima Biennale di Venezia, Maria de Corral e Rosa Martinez. In fiera le tute colorate degli addetti alle informazioni si sono mescolate alle divise blu dei poliziotti. Il Messico, paese ospite, ha organizzato nottate de fuego e la movida non ha avuto paura.

Ad “Arco” il mercato pulsa poco e l’occasione è resa ricca quasi solo dagli acquisti governativi, ma premi e incentivi stanno cercando di inventare anche un forte collezionismo privato. Come recita la spilla regalata dalla migliore galleria messicana, Kurimanzutto, “Working Class today… Tomorrow Nuevos Ricos!”. Anche chi oggi manifesta un’affettata appartenenza al proletariato o una vicinanza alle sue esigenze, domani potrebbe essere classe media con una propensione all’investimento in arte; preferibilmente, nel maneggevole medium della pittura.

Ma quale? Non certo la pittura espressionista dei primi anni Ottanta, che starà ancora in castigo per un po’ avendo avuto il grave torto di inventare il sistema dell’arte come ancora funziona, ovvero con la complicità tra pubbliche istituzioni e gallerie private. La pittura di oggi, che ben si è vista nelle sezioni di più propositive, è una ricetta che contiene ingredienti vari.

Anzitutto la crisi della fotografia in quanto tale: la si usa per prendere appunti, la si strapazza nello scanner, la si propone in digitale per poi farne stampe al plotter con la tecnica dell’olio su tela, la si proietta sulla carta a guidare la mano dell’artista nel suo realismo intimista: casi noti come Luc Tuymans e Peter Doig hanno cloni dovunque.

Altra via per dipingere è quella che fa contenti anche noi curatori, che possiamo ottenere risultati spettacolari, site specific e addirittura audience specific con la tecnica più tradizionale: l’artista, per esempio Federico Herrero (da Viafarini/Artegiovane), il poetico Carlos Amorales (da Kurimanzutto) o il fortissimo Trenton Doyle Hancock (da Dunn & Brown) compone installazioni ambientali a cui aggiunge dipinti o disegni, concepiti come prosecuzione del wall drawing; in altri casi piccole illustrazioni si dispongono sapientemente nell’ambiente, come le favole inquiete di Marcel Dzama (da Sies + Hoeke). Variante estrema è quella praticata da Hector Falcon (da Enrique Guerrero) che riempie un muro di carta da parati decorativa, generata scaricando da Internet scene di pornografia.

Anche opere video, nella loro fissità, diventano dei dipinti, come la scena in cui la neve cade dietro una finestra mentre una mano beve un caffè domestico in una tazza a pois (Marijke van Warmerdam da Lisson). É pittorico persino il video di Anthony Goicolea (da Luis Adelantado) in cui due uomini si avvelenano a vicenda in una baracca; grazie a un programma di elaborazione spariscono dentro all’erba: è il computer a dare l’ultima pennellata.

Insomma nella pittura c’è di tutto e tutto è nuova pittura, in una gradazione che accontenta il collezionismo tradizionale come quello che si ritiene più avveniristico. Nei dibattiti ci si è posti il problema di come rendere l’investimento in arte più sicuro e garantito, con l’aiuto di associazioni che si occupano di consigli e valutazioni.

Nel frattempo le biennali perdono grinta polemica (in quella di Mosca, neonata, sono state censurate le opere di Santiago Sierra, ad “Arco” con Prometeo) e torna l’epoca in cui esporre significa anche vendere; reciprocamente non c’è vendita senza una mostra che certifichi la validità culturale.

“Arco” quest’anno è bruttina e gran parte degli artisti esposti sparirà probabilmente nel nulla. Ma la fiera nel suo complesso rinforza due considerazioni generali: l’arte contemporanea ha incominciato a essere necessaria alla politica di uno Stato moderno; inoltre, si è ricongiunta al mercato come al tempo dei Salon Parigini.

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