Rassegna stampa

Che acquistando la maggioranza …

Che acquistando la maggioranza del pacchetto azionario, garantisse la remunerazione dell’azionista pubblico, l’ammortamento del debito contratto per investimenti (non per “spese”) e un piano industriale di espansione per creare valore, con benefici per il tessuto economico locale e veneto. Per tutto quanto detto, PadovaFiere è oggi una best practice da imitare, laddove altre Fiere si sono attardate nella comoda rendita protetta di Enti Pubblici.Bisogna avere chiaro che il business delle fiere ha un problema di economie di scala e di massa critica. Che la ragione prima della privatizzazione è stringere alleanze con soci sinergici – italiani o stranieri è secondario, purchè abbiano know how, possibilmente internazionale -. Muoversi in modo snello nel quadro concorrenziale. Ricapitalizzare l’azienda in vista di nuovi investimenti. Il mercato non concede alternative. Visioni corte o viziate da un localismo asfittico sono l’anticamera della colonizzazione (che può venire da Rho-Pero o dall’Emilia, non necessariamente da oltrefrontiera). Viceversa, una fiera padovana privatizzata e rafforzata sul piano industriale, comunque aperta all’ingresso di altri partner locali, è il motore più efficiente dello sviluppo. Non un punto di arrivo, ma di partenza per essere sempre più al servizio dell’economia locale e veneta in una logica competitiva e di mercato. E vengo al secondo punto. Mettiamoci d’accordo una volta per tutte, anche fra noi imprenditori, sul significato di libero mercato e concorrenza e, di conseguenza, sull’atteggiamento da tenere verso le privatizzazioni. E se questi valori siano, o meno, preferibili al loro contrario: ossia un mercato chiuso, protetto, squilibrato. E’ assai difficile comprendere come possano convivere la richiesta, giustissima, di più mercato nelle vene della nostra economia (riavviando, per esempio, le liberalizzazioni, a iniziare dai servizi pubblici locali). E la difesa dei “campioni locali” dalle insidie del mercato e della concorrenza, in nome di un non meglio definito localismo che spesso cela spinte corporative e crescente voglia di supplenze pubbliche. Dimenticando che proprio il deficit di concorrenza ci condanna oggi ad avere i prezzi dell’energia, i costi dei servizi pubblici, le tariffe delle professioni, e mi fermo qui, più alti in Europa. Con grave danno ai cittadini e alla competitività delle imprese, specie le più piccole. Quanto alla procedura per la privatizzazione di PadovaFiere – è il terzo punto fermo – ritengo che il mercato e la concorrenza siano i migliori giudici. L’ipotesi di scorporare la gestione dalla proprietà immobiliare, emersa nel corso della procedura, non rappresenta in sé alcuno scandalo. Purchè sussistano ampie e solide garanzie di remunerazione per l’azionista pubblico, quindi di rientro dalla esposizione per gli investimenti. Meglio un polo fieristico competitivo, ancorché acquisito da operatori di altri Paesi, che una fiera inadeguata. Anche se mi piacerebbe vedere gli operatori italiani vincere la competizione con le armi del mercato. E sono al quarto punto: la prospettiva di una holding fieristica del Veneto e il ruolo della Regione. A scanso di equivoci, ricordo che siamo stati, e siamo, tra quanti vedrebbero con favore l’assunzione di un’azione diretta da parte della Regione, finalizzata a creare un polo fieristico del Veneto. Un sistema a rete dove l’azionista pubblico detiene la proprietà dei quartieri e affida la gestione a un patto di governance tra i poli esistenti. L’altra strada ipotizzabile è un’integrazione “dal basso”, che individui un progetto industriale comune. Un dialogo, in tal senso, è in corso tra Padova e Vicenza. Ma la premessa necessaria ad ogni ipotesi di integrazione è l’omogeneità giuridica degli Enti Fiera. Padova non può subire il ritardo negativo con cui le altre Fiere venete affrontano il processo di trasformazione. Né l’asimmetria giuridica, che si traduce nella diversa responsabilità e nel diverso rischio imprenditoriale che gravano in capo a chi gestisce una SpA rispetto a un Ente Pubblico che, ad esempio, non può fallire. Immaginiamo a quale paradosso condurrebbe l’acquisto di PadovaFiere da parte della Fiera di Verona, ente pubblico di proprietà del Comune scaligero (al 54\%). I soci enti territoriali di Padova (Comune, Provincia), sarebbero sostituiti dal Comune di Verona. La Fiera di Padova dovrebbe fare riferimento, per le sue scelte, non più al sindaco o al presidente della Provincia di Padova, bensì al sindaco e al presidente della Provincia di Verona, vanificando non solo il processo di privatizzazione, ma sostituendo la parte pubblica con un’altra con cui la Fiera non ha alcuna relazione. Più facile sarebbe invece la creazione del “sistema” dopo la trasformazione in Spa delle Fiere di Vicenza e Verona, potendosi prevedere scambi azionari o, come detto, la costituzione di una holding regionale che gestisca o si ponga in relazione con la governance dei tre soggetti. Ma il tempo è alle strette. Se la Regione ha un progetto concreto e risorse da mettere subito in campo, ci troverà alleati. Perciò mi auguro che dal vertice del 29 novembre convocato dal presidente Galan risulti una posizione chiara. Diversamente, la privatizzazione di PadovaFiere deve andare avanti, nei tempi indicati, lasciando al mercato e alla concorrenza la selezione della migliore offerta. E riprendendo eventualmente dopo, con chi ci vorrà stare – Fiere, banche, altri privati – la costruzione di un Sistema fieristico del Veneto. Luca BonaitiE’ dovere di un amministratore e di un politico informare su cosa sia realmente la clandestinità, perché sia definitivamente interrotta l’ormai inaccettabile equazione tra clandestinità e delinquenza. Questa campagna promossa dalla destra è una guerra contro i poveri, che fuggiti dalla miseria e dai conflitti dei loro paesi arrivano in Italia per cercare speranza. La conferma viene dall’ultima sanatoria che accogliendo 700.000 clandestini non ha messo a rischio la nostra sicurezza, ma ha regolarizzato persone che già prima lavoravano senza poter esercitare alcun diritto di cittadinanza, e il cui contributo al mantenimento dei nostri standard produttivi è dichiarato necessario dagli stessi industriali: non dimentichiamo mai, però, che parliamo di persone, di culture e non solo di braccia. Mi appello anche alle associazioni e ai sindacati, che si sono sempre espressi in modo critico nei confronti dei CPT, perché anch’essi facciano pressione affinché questo centro non venga istituito.

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